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Amarezza. Tristezza, scoramento. Rabbia, delusione. Ma anche orgoglio, determinazione, convinzione di avercela messa davvero tutta. Un tourbillon di emozioni ha investito la Juventus e tutta la sua tifoseria al triplice fischio del match contro il Real Madrid. A nulla è servita la straordinaria partita degli uomini di mister Massimiliano Allegri, capaci di terrorizzare per 90 minuti i galacticos nel leggendario Estadio Bernabéu, a nulla è servita la doppietta di Mandzukic e il gol di forza e caparbietà di Matuidi.
Un rigore all’ultimo respiro concesso ai blancos, l’espulsione per proteste di capitan Buffon, la freddezza decisiva di Cristiano Ronaldo. Risultato finale: 1-3, e bianconeri eliminati dalla Champions League tra mille polemiche.
Cosa rimane, quindi, di questa imponente quanto inutile prova di forza?
Test superato, nonostante l’amaro in bocca
Dopo l’andata dell’Allianz Stadium, proprio su l’Occhio Sportivo, il nostro Nicolò aveva previsto nel match di ritorno un importante banco di prova per la Juventus, chiamata ad onorare il proprio percorso europeo nonostante il terribile passivo subìto tra le mura amiche: un secco 0-3 che avrebbe potuto scoraggiare chiunque.
Banco di prova, al di là dell’eliminazione, ampiamente superato.
Dal punto di vista tecnico/tattico: la squadra bianconera è riuscita a sfruttare al meglio il rientro in cabina di regia di Pjanic, a sopperire efficacemente all’assenza forzata di Dybala, e ad innescare alla perfezione Mario Mandzukic, sulle gambe dal 70° visto l’enorme lavoro in copertura compiuto lungo la fascia sinistra.
Ma soprattutto, da quello caratteriale/psicologico: la differenza motivazionale tra i ventidue in campo si è sensibilmente percepita durante tutto l’arco del match. I bianconeri hanno azzannato le caviglie dei madridisti (con ben 20 punizioni concesse), affondato le unghie nell’erba del rettangolo verde, soffocato le fonti di gioco avversarie attraverso un pressing alto tambureggiante, forzando la giocata lunga o il guizzo del singolo.
Impossibile, d’altra parte, pensare di uscire dal Bernabéu senza subire occasioni da gol da parte degli avversari. La Juve ha accettato la sfida a viso aperto, si è lanciata in un duello all’arma bianca, ed è stata punita a tempo quasi ormai scaduto.
Per questo la Juve esce comunque rafforzata dal doppio confronto con i blancos. Vittoriosa, eliminata ma consapevole di aver dato tutto. Consapevole, oggi come mai, di essere ancora tra le squadre piu forti del mondo. E con due competizioni rimaste per sfogare tutta la propria rabbia: non vorremmo essere nei panni dei suoi prossimi avversari, così in Serie A come in Coppa Italia.
Un approccio poco Real
Atterrito, spaesato e colpito al cuore dopo soli due minuti di gioco. Il Real Madrid proprio non se l’aspettava, una Juventus cosi arrembante e combattiva. Che sia entrata in gioco un po’ di sufficienza, nell’approccio ad una gara dal retrogusto di pura formalità, per i galacticos di Zidane?
Possibile: lo stesso tipo di sufficienza, d’altronde, ha fatto da substrato per la partita perfetta della Roma di Di Francesco, capace di rifilare tre gol al sornione Barcellona e di superare il turno.
Il Real, nonostante l’avvio shock, ha comunque provato a far male ai bianconeri. Le statistiche non mentono: 58% di possesso palla, 19 tiri di cui 6 in porta, quasi il doppio dei passaggi effettuati dalla Juve (639 contro 382) con il 92% di accuratezza complessiva.
Attenzione, però: far male non significa dominare. Le statistiche non ci dicono, infatti, come non si sia mai avvertita la sensazione, in campo e fuori, che la Juve potesse perdere il controllo del match. La tattica bianconera ha imbrigliato il gioco del Real, e solo lo straordinario tasso tecnico dei padroni di casa ha permesso ai portatori di palla di sviluppare gioco ed arrivare alla conclusione. Con buona pace di Cristiano: la sua espressione insofferente, colta a piu riprese dalla regia televisiva internazionale, la dice lunga sulle oggettive difficoltà incontrate dai suoi.
Un prezioso insegnamento per i piccoli aspiranti campioni delle scuole calcio: mai lasciarsi distrarre dai risultati delle gare precedenti, la debacle è sempre in agguato. Anche se ti chiami Real Madrid.
Questione VAR: la UEFA che fa?
Real Madrid-Juventus è stata decisa al 92° minuto di gioco, con quel rigore concesso dal signor Oliver ai blancos per il contatto in area di rigore bianconera tra Benatia e Vazquez. Un rigore borderline, soggetto a mille interpretazioni, che ha scatenato uno tsunami di polemiche, sui social come in campo.
E se da una parte Gianluigi Buffon ha probabilmente dato addio al massimo palcoscenico internazionale con una sfuriata nei confronti dell’arbitro che gli è costata l’espulsione diretta dal campo di gioco (per poi parlare di “mancanza di sensibilità” e di “bidone dell’immondizia al posto del cuore” nel postpartita), bene ha fatto il presidente della Juventus Andrea Agnelli ad invocare un’accelerazione decisiva nell’introduzione del VAR anche nelle coppe europee (certo, sicuramente meno bene potrebbe aver fatto nel suggerire un presunto trattamento di sfavore del designatore internazionale Pierluigi Collina nei confronti dei club italiani).
Ancora una volta, un episodio ha deciso una partita di altissimo livello. Un episodio su cui la VAR avrebbe potuto fugare ogni dubbio, in un senso o nell’altro. Quella di una classe arbitrale che dev’essere preparata con tempistiche adatte a gestire il Video Assisant Referee appare sempre più come una scusa per difendere un’idea di calcio romantica e nobile, ma sempre meno al passo coi tempi.
Abbiamo i mezzi e le conoscenze per aiutare gli arbitri a lavorare meglio e con più serenità. L’Italia sta dimostrando, dopo un fisiologico periodo di adattamento, che la tecnologia può essere un utile strumento di supporto per chi è in campo e chi è fuori.
Insomma: perché tutta questa paura? Quanto ancora dovremo aspettare per poterla ammirare all’opera anche in ambito internazionale?