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Nel 1938 avvenne un fatto molto importante nella storia mondiale: dopo la Germania, anche l’Italia si adeguò alle idee politiche di Adolf Hitler e vennero promulgate le leggi razziali. Gli ebrei vennero banditi da ogni attività pubblica e ben presto molti morirono nell’orrore dei campi di concentramento di Auschwitz. Tra le tante vittime ci fu anche Arpad Weisz, allenatore che secondo molti è stato anticipatore del calcio moderno.
La breve esperienza da calciatore
Arpad Weisz nasce nel 1896 a Solt, cittadina di poco più di 6000 abitanti distante circa 70 km da Budapest. I suoi genitori fanno parte della comunità ebraica di zona. Che la sua vita sarebbe stata difficile, l’ungherese lo capisce quando, partecipando da volontario al primo conflitto mondiale, viene catturato dall’esercito italiano, fortunatamente senza conseguenze. Terminata la guerra, il giovane Arpad riprende a giocare a calcio con buoni risultati, ottenendo sei presenze in nazionale. Nell’estate del 1924, dopo aver preso parte alle Olimpiadi, viene ingaggiato dal Padova. Il campionato seguente va all’Inter dove è bersagliato da problemi fisici che ne condizionano pesantemente il rendimento, portandolo ad un ritiro prematuro nell’estate del 1926, dopo un Inter-Modena vinto dai nerazzurri per 2-1.
Una nuova carriera
Per l’ungherese l’avventura nel mondo del calcio sembra destinata alla conclusione, quindi inizia a pensare a cosa fare nella vita, e una possibilità potrebbe essere il ritorno all’impiego in banca. A sorpresa Weisz viene convocato dal nuovo presidente dell’Inter, Senatore Borletti che gli propone di diventare allenatore della squadra ed egli accetta con entusiasmo. Della prima esperienza nella squadra nerazzura sono due i fatti da ricordare: lo scudetto revocato al Torino nel 1927 (primo caso in Italia), ma soprattutto al neo allenatore si deve la scoperta di un giocatore che farà la storia dell’Inter e del calcio italiano, Giuseppe Meazza.
Due campionati lontano dai vertici costano il posto all’ungherese che torna nel suo paese natio per allenare la squadra dello Szombathely. Il ritorno in patria è pieno di significati per Arpad, conosce Ilona Rechnitzer che sposerà nel 1929, inoltre con la sua nuova squadra intraprende una tournée tra l’America Latina e gli Stati Uniti, caso rarissimo per quell’epoca. Nell’anno del suo matrimonio viene contattato dall’Inter, allora chiamata anche Ambrosiana, per imposizione del regime fascista che non accettava nomi che richiamassero all’estero. Weisz accetta e torna per preparare lo storico primo campionato a girone unico, ma anche lui subisce le imposizioni di Mussolini e il suo cognome diventa Veisz.
Un innovatore
Arpad Weisz vinse quel campionato, introdusse nel modo di allenare molte novità. Fu l’inventore degli schemi, provando i movimenti della squadra, inoltre introdusse i carichi di lavoro personalizzati. Egli fu anche un attento osservatore, frequentemente assisteva alle partite delle giovanili, cercando di scoprire se fossero presenti dei potenziali talenti. La grande novità dell’allenatore ungherese fu il sistema di cui fu il primo utilizzatore in Italia: lo schema chiamato anche WM, che identifica attaccanti e difensori. Scopo di questa tattica è distribuire in ugual modo il gioco della squadra. Nel 1930 scrisse “Il giuoco del calcio”; libro che spiega le tattiche, oltre che le basi e i ruoli del calcio, mentre il dirigente dell’Inter Aldo Molinari si occupa della parte legata ai regolamenti, facendo del libro uno dei primi manuali sul calcio in Italia.
Bologna, lo squadrone che tremare il Mondo fa
Ogni essere umano è legato indissolubilmente ad una città, sia essa il luogo di nascita oppure sede di lavoro. Nel caso dell’allenatore ungherese quella città è rappresentata da Bologna. Sono gli anni in cui la squadra rossoblù è conosciuta come “Lo squadrone che tremare il Mondo fa”, slogan che la accompagnerà per svariati decenni. Weisz arriva a Bologna nel Gennaio 1935 lasciando il precedente incarico a Novara e sostituendo un altro ungherese, Lajos Kovacs. I tifosi sono delusi e insieme a loro anche Renato Dall’Ara, che ha acquistato la società l’anno precedente e che sarà il presidente più longevo nella storia del Bologna.
Weisz porta la squadra a concludere il campionato al sesto posto, ma nel campionato seguente compie una vera impresa. Esso con meno di venti giocatori schierati e dopo un testa a testa con la Roma (orfana di Guaita, che scapperà dall’Italia per paura di essere chiamato al fronte), porta il Bologna a conquistare il terzo scudetto della sua storia. I rossoblù dimostrarono la loro superiorità vincendo anche l’anno seguente, anche qui da lodare il lavoro dell’allenatore ungherese che con pochi acquisti, utili per ringiovanire la rosa, non smantellò la squadra e la portò in trionfo.
Nel 1937 il Bologna partecipò al Torneo dell’Expo, organizzato in occasione dell’esposizione universale di Parigi, e trionfò battendo il Chelsea con un perentorio 4-1: i rossoblù erano infatti anche internazionalmente tra i migliori. Il Bologna sfiorò il tris nel campionato 1937-38, ma la sconfitta per 3-2 di Livorno all’ultima giornata portò i rossoblù a chiudere al quinto posto, con il campionato che fu vinto dall’Inter.
Il dramma
Nell’estate del 1938 l’allenatore ungherese è dubbioso nel continuare la sua avventura a Bologna. A pressare Weisz è soprattutto la Lazio, ma i numerosi tentativi del presidente Dall’Ara per convincerlo a rimanere ebbero successo. Il colpo di mercato della squadra rossoblù fu Puricelli che a fine campionato sarà il cannoniere della squadra con 19 reti. Il 5 settembre si realizza una delle pagine più tristi nella storia italiana e mondiale: vengono promulgate le leggi razziali anche in Italia, che bandiscono milioni di ebrei dalla vita pubblica.
Weisz e la sua famiglia verranno iscritti in un registro voluto da Mussolini per segnalare gli ebrei in Italia, costringendo quindi l’allenatore ungherese a lasciare l’Italia. L’ultima partita da allenatore del Bologna è datata 16 ottobre ed è una vittoria per 2-0 contro la Lazio. Il suo posto venne preso dall’austriaco Felsner che portò il Bologna alla vittoria in campionato, ma per Weisz il peggio doveva ancora arrivare.
Dimenticato
La stampa italiana dedicò ben poco spazio al suo addio alla panchina del Bologna, in particolare “Il calcio illustrato” gli dedicò a malapena una riga. Troppo poco per una allenatore conosciuto e stimato in tutto l’ambiente per i suoi trionfi e il suo carattere, quello stesso ambiente che non gli mostrò solidarietà, nemmeno da parte dei vertici societari del Bologna.
Arrivato a Parigi ad inizio del 1939, l’allenatore ungherese trovò una nuova panchina in Olanda, con lo scopo anche lì di sviluppare il calcio, in quel periodo di livello dilettantistico. Weisz era giustamente preoccupato dal clima che si respirava a livello internazionale, con la Germania di Hitler che voleva essere padrona. Usciva difficilmente di casa, subendo umiliazioni molto pesanti: quella più clamorosa fu l’obbligo di indossare una stella gialla attaccata alla giacca. Un incubo che proseguirà con l’arresto nel 1942 della sua famiglia e si concluderà tragicamente con la sua morte il 31 Gennaio 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz.
Una figura oscura
La figura di Arpad Weisz è rimasta ignota per anni, ancora adesso non si sa con certezza cosa abbia fatto dal momento dell’arresto fino alla morte. A cercare di fare luce è stato Matteo Marani, giornalista ed ex direttore del “Guerin sportivo”, che nel 2007 ha scritto su Weisz un interessante libro. Nel 2009 allo stadio Dall’Ara di Bologna è stata posta una targa in ricordo dell’ungherese e della sua famiglia. La sua figura è stata inserita quest’anno nella Hall of Fame del calcio italiano, un giusto riconoscimento per un allenatore che ha dato tanto. La sua morte è una vergogna internazionale, così come lo è stata quella di tutti gli ebrei e dei soldati coinvolti in guerra. La speranza è che cose del genere non accadano mai più.