Belgrado che vieni, da noi tornerai. È stata una F4GLORY

approfondimento Final Four

Tempo di lettura: 9 min

L’esperienza serba per la Final Four dell’Eurolega, ha scritto una nuova pagina di storia per L’Occhio Sportivo. In poco più di due mesi di vita è sconfinato l’onore e la riconoscenza che dobbiamo a Belgrado, alla sua gente. Città silenziosa ma densa di significati, persone in ripresa dopo un decennio – gli anni ’90 – difficile sotto molteplici angolazioni. L’esperienza professionale e di vita che ha portato l’Occhio nella capitale serba è stata senza precedenti: le ferite ancora aperte di una guerra cruenta, la macchina mediatica della Final Four, la Stark Arena e il panorama cittadino dalla fortezza di Kalemegdan sono le istantanee che dominano le menti di chi ha vissuto la trasferta nei balcani. Sensazioni uniche, ricordi indimenticabili: il flashback è appena iniziato.

Oltre L’Occhio Sportivo

approfondimento final fourUn computer, uno schermo e una valigia carica di aspettative. L’Occhio Sportivo è partito alla volta di Belgrado consapevole che le difficoltà sarebbero state tante, troppe. Inesperienza da vendere, capacità mediatiche da affinare. La città ci ha accolti una sera di maggio: tra un via vai di storie, sentimenti e strade di ogni angolo del mondo che si intrecciavano. Tra le tante, c’era anche la nostra. Pronti a sbocciare, ma ancora acerbi. La Stark Arena non ha spaventato nessuno. Ha solo illuminato gli occhi di noi sognatori, ignari del fatto che quello che avevamo davanti fosse reale. Fosse vero. Gli scalini della tribuna stampa, che ci portavano verso le nostre postazioni, la nostra personale ascesa alla gloria. Mai dare le spalle al campo però: quando ti volti vedi l’immensità di quel che hai sempre sognato e che è si è tramutato in realtà sensibile. Avevamo un foglio bianco, anonimo. Lo abbiamo riempito tutto. Fino ai bordi.

Abbiamo vissuto la Stark Arena in ogni sua sfaccettatura. Dalla nudità degli spalti nel corso degli allenamenti delle quattro squadre protagoniste fino alle intro delle partite, quando l’emozione ha travolto le parole. Abbiamo vissuto la competenza dei media di tutto il mondo, testimoni di una tre giorni frenetica. 72 ore in cui non hai margini di errore: la difficoltà della diretta e la capacità di cogliere le emozioni dei giocatori attraverso le interviste. La tensione di un palleggio. La pressione di un tiro di riscaldamento finito sul ferro. Il modo di riscaldarsi a bordocampo. Bluff e mezze verità raccontate e spacciate per vere nelle conferenze stampa. Competizione agguerita tra tv, radio e testate online, gomiti alti per intercettare le minime smorfie. La goccia di sudore che scende sulla fronte di un giocatore che mestamente prende la via dello spogliatoio. E tu sei lì, mano e mente sincronizzate, per raccontare agli altri le tue innumerevoli sensazioni.

Chiudi un attimo gli occhi. Riavvolgi il nastro della memoria fotografica. L’Occhio Sportivo è andato oltre sé stesso. Questione di prospettive, di punti di vista differenti. Un occhio a 360 gradi: guardare oltre aiuta a crescere.

Belgrado e Stark Arena: tra passato e futuro

Una città timida, ancora intimorita dai disastri dei conflitti post-disgregazione jugoslava anni ’90. Belgrado mai ha respirato così tanta libertà, semi-sconosciuta negli anni del non-allineamento jugoslavo di Josip Broz Tito al blocco orientale e occientale e negli intenti del “Macellaio dei Balcani“, Slobodan Milosevic, di ricreare il mito della Grande Serbia a scapito delle innumerevoli etnie linguistiche, religiose e culturali insite da secoli nella penisola. Nelle vie dei quartieri risuonano ancora le esplosioni delle bombe lanciate dalla NATO nel corso della guerra in Kosovo.

 

approfondimento final fourLo si nota nelle crepe dei muri della stari grad. Anonime. Silenziose. Le ferite si sono rimarginate con evidente difficoltà ma il dolore si può scorgere negli occhi dei serbi: guardano verso il basso, lo fanno sistematicamente. L’Europa cestistica ha restituito alla città il lustro che merita ma lei, Belgrado, si nasconde da occhi indiscreti. Lo fa per paura di essere inadeguata a palcoscenici di rango, quasi come se soffrisse complessi di inferiorità con altre realtà. Più potenti con gli assegni, più stabili negli affari diplomatici. Ogni battito di ciglia è un proposito di rivalsa, una rinnovata voglia di farsi conoscere. Vogliono riemergere, ritornare ai fasti perduti.

I palazzi scuri del quartiere Dorcol contrastano con i colori vivaci della Novi Beograd, quartier generale della Stark Arena (nome derivante dallo sponsor privi di emozioni). L’impianto, futuristico, domina per grandezza e modernità. 20.000 posti e un’imponenza tale da potersi godere uno spettacolo impari, al quale gli tiene testa solo quello offerto dalla curva Delije del mitico “Marakana” (“Gli eroi” ultras della Stella Rossa), una tribuna stampa capiente e ricca di competenza, un’organizzazione complessiva al top come si conviene per appuntamenti da smoking e sigaro. L’Arena – una manciata di ore prima del via – è vuota in ogni ordine di posto. Il silenzio assordante le fa da contorno. Le televisioni di tutto il mondo si preparano: si può udire solo lo scricchiolio del passaggio dei giornalisti in tribuna stampa.

Occhi verso l’alto, verso quello che sarà: gli sguardi dei presenti immaginano già cosa accadrà quando ogni posto sarà occupato. Parte la musica, l’atmosfera magica della contemplazione svanisce nel tempio ortodosso (considerando la religione madre della terra natia). Ma tra sacro e profano si scatena l’inferno: da una parte il gialloblu del Fenerbache domina le tribune e la simpatia dei lituani giunti da Kaunas per lo Zalgiris mette d’accordo tutti. Dall’altra i fan moscoviti del Cska godono dell’appoggio dei bianconeri locali del Partizan (sul trono d’Europa nel 1991 con Obradovic in panchina) e gli ultimi in termini di presenza, i blancos di Madrid, che saranno poi i primi. La Coppa dei Campioni, accompagnata dall’inno ai vincitori firmato Freddy Mercury “We are the champions”, ha un padrone. Per la decima volta.

 Doncic & co. : ad est, ad est. Là dove nasce il sole

“Ad est, ad est adesso si va. Ad est, ad est là dove nasce il sole. Ad est, ad est ritroverò la vita. Ad est, ad est perché non è finita.”

approfondimento final fourCosì cantava il celebre gruppo emiliano-romagnolo dei Nomadi. Era il 1993. In Bosnia si combatteva una delle guerre più atroci alle porte del Terzo Millennio ma ad est, si sa, nasce il sole e solo 6 anni dopo il singolo del gruppo musicale, un nuovo assolo vuole illuminare l’Europa cestistica. Lubiana dà alla luce in una fredda giornata di febbraio quello che oggi è considerato il giocatore di pallacanestro più forte d’Europa. Luka Doncic, dopo aver trascinato la sua Slovenia alla conquista di uno storico titolo europeo, vince da protagonista l’Eurolega con la “camiseta” del Real Madrid. Alla timidezza delle domande dei giornalisti e alla riservatezza tipica dei giocatori dei balcani che non lasciano trasparire emozioni, risponde con l’unica lingua che conosce: il talento sconfinato. Mvp delle Final Four 2018, Mvp della Liga ACB ancora in corso. Dominante. Illuminante. Decisivo.

Non è un caso che il primo acuto del play-guardia sloveno arrivi proprio in terra serba: scomodando la letteratura italiana di fine ‘800, la Stark Arena ha rappresentato per Luka il nido pascoliano entro il quale ha costruito il suo successo. Tra le tribune del palazzo dello sport belgradese, Doncic ha vissuto la sua personalissima età dell’oro. Se per Pascoli la fase dorata dell’esistenza coincide con l’infanzia, pensate che il giocatore del Real Madrid ha 19 anni, una bacheca di trofei personali e di squadra ormai capiente e un futuro in NBA già scritto, in un draft – il prossimo – che ha tutte le carte in regola per entrare dritto nella storia, dopo quello del 1984. Il sangue slavo però non mente mai: Drazen Petrovic, Vlade Divac, Pedrag Danilovic, Zoran Savic, Alexsandar Djordjevic e Dejan Bodiroga sono alcune delle stelle che hanno visto la luce dall’est e hanno incantato la platea, nonostante la loro carriera memorabile abbia mandato in crisi bussole e punti cardinali al pari delle difese che se li trovavano davanti. Il sole sorge sempre ad est: capito perché?

Certe luci non si spengono

approfondimento final fourPremiazione, vincitori e vinti, saluti. Ha una durata sempre irrisoria quel che ami fare e che hai nelle corde, da sempre.

Imbocchiamo l’uscita della Stark Arena. La ammiriamo in tutta la sua maestosità. Lo facciamo stringendoci in un abbraccio. Sempre più forte. Ci guardiamo negli occhi: sono lucidi. Non abbiamo intenzione di abbandonare il parquet ma le luci si abbassano e cala il sipario. Ci dirigiamo all’esterno: è inevitabile un ultimo sguardo alla Stark prima che il taxi ci allontani da lei, quasi come fossimo ipnotizzati. Come se fossimo innamorati di lei. L’abbraccio al saluto finale è ancora più forte del precedente. Ecco cosa è L’Occhio Sportivo: la luce non la possiamo spegnere. Noi ce l’abbiamo dentro.

Condividi:

Pubblicato da Alessandro Fracassi

Nato in quel di Sassari nel 1992, cresciuto nel segno della leadership, del temperamento e della passione per i tackle del Guv'nor Paul Ince. Aspirante giornalista sportivo, studio giornalismo all'Università "La Sapienza" di Roma. Calcio e Basket le linee guida dell'amore incondizionato verso lo sport, ossessionato dagli amarcord, dal vintage e dai Guerin Sportivo d'annata, vivo anche di musica rock e dei film di Cronenberg. Citazione preferita: "en mi barrio aprendí a no perder".