Il regime di Ceausescu e lo sport in Romania durante la dittatura

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Quando un paese è sotto una dittatura, ogni settore viene posto sotto il controllo del tiranno di turno. Fu così in Italia con il Fascismo e in Germania con il Nazismo. Tra le altre cose ad essere controllato è lo sport. Anche la Romania con il regime di Nicolae Ceaușescu pose questo per la sua propaganda, in particolare con due casi: Nadia Comaneci e il calcio.

Una nuova stella in Canada

Montreal, Canada, qui nel 1976 si disputarono le Olimpiadi. In Italia fu il primo evento che alcuni fortunati poterono vedere a colori. L’evento olimpico trovò la sua nuova stella, una quattordicenne romena, il suo nome è Nadia Comaneci, ginnasta che il 18 luglio cambiò la storia dello sport, ottenendo per la prima volta il punteggio perfetto in un esercizio. Secondo alcuni sportivi era impossibile fare l’esercizio perfetto, ma la ginnasta fece le parallele asimmetriche e i suoi movimenti erano pressoché perfetti. Alla fine però il tabellone del punteggio comparve con scritto 1.00, con il pubblico che si interrogò a lungo poiché il massimo previsto era 9. Anche l’allenatore della Comaneci, Bela Karolyi, era perplesso e pensò a una penalità. Invece il punteggio era un 10, mai successo; la ginnastica aveva così scoperto un nuovo talento e, dopo quell’oro, ne arrivarono altri due: uno nella trave e uno nell’individuale, ma da lì a poco per la Comaneci iniziarono i problemi.

Il regime di Ceausescu, al suo ritorno in patria, la accolse con tutti gli onori, fu dichiarata “Eroe del lavoro socialista” e il dittatore ne fece uno dei simboli della sua propaganda. Spesso la ginnasta fu invitata a palazzo e il figlio del tiranno, Nicu, la volle come sua amante, maltrattandola e venendo anche accusato di abusi. Fu allontanata dalla sua famiglia e costretta a vivere in una villa regalata dal dittatore; talmente disperata, la Comaneci tentò il suicidio, ripetendo il gesto anche a Mosca, quando dopo aver vinto due ori (che il regime oscurò), ci ripensò e scappò in Ungheria: una cameriera la aiutò nella fuga e per questo fu condannata a morte, evitata perché nel 1989 Ceausescu fu ucciso, decretando la fine del regime. La Comaneci tornò nel suo paese e nel 1996 si sposò con Bart Conner. A proposito dell’esperienza sotto il regime, l’ex ginnasta ha dichiarato nel 2016 “Era come vivere in una prigione laccata d’oro, non potevo ricevere nessuno, né a casa mia né nei lussuosi alberghi in cui alloggiavo, viaggiando per la Romania ed in tutto il mondo, quando il signor Nicu Ceausescu ed il suo potentissimo padre Nicolae mi esibivano, sfruttando la mia popolarità, come fiore all’occhiello del regime. Quando sono scappata sapevo che i fucili delle guardie avrebbero potuto uccidermi“.

Il calcio in mano al regime

Il talento della Comaneci diede alla Romania grande considerazione internazionale. Per continuare la sua propaganda nello sport, Ceausescu nel 1978 creò  il Luceafarul Bucarest, squadra che doveva avere tra le sue fila i migliori talenti calcistici della Romania. Nel club giocarono alcuni dei migliori calciatori romeni, tra cui anche Gheorghe Hagi, che giocò anche in Italia nel Brescia, risultando però un flop. Nel 1981 per la Romania arrivò il terzo posto al Mondiale Under 19. Il regime controllava ogni aspetto del calcio: le squadre qualificate per le coppe europee venivano scelte a tavolino, mentre l’unica incertezza era quando si trattava di scegliere la vincitrice del campionato tra Steaua, comandata da Valentin Ceausescu, e Dinamo, queste infatti erano le squadre rispettivamente  del Ministero della Difesa e di quello degli Interni.

Il culmine per il calcio romeno arrivò nel 1986 quando la Steaua Bucarest arrivò in finale di Coppa Campioni contro il Barcellona. La squadra romena doveva essere la vittima sacrificale dei blaugrana e invece a sorpresa resse, arrivando fino ai calci di rigore. Qui salì in cattedra Helmuth Duckadam, portiere della Steaua che parò la bellezza di quattro rigori, portando la sua squadra sul tetto d’Europa e diventando per tutti l’eroe nazionale, tranne che per Ceaușescu. Per il regime il portiere era un elemento da allontanare, nonostante non fosse un oppositore della prima ora, aveva rifiutato di partecipare a combine, rimanendo in disparte dalle azioni del tiranno romeno. Di lì a poco di Duckadam si persero le tracce, alcuni ipotizzarono che gli avessero spezzato le mani o sparato, in realtà ebbe una trombosi al braccio e il regime lo cacciò dall’esercito.

Lo scandalo Camataru

Tra i trofei riservati a un calciatore rientra anche la Scarpa d’oro (ovvero chi faceva più reti in Europa) che fino a metà anni ’90 non aveva bisogno di punteggi specifici per essere assegnata, bastava solo segnare. Il trofeo nel 1987 fu al centro di uno scandalo, ordito da Ceausescu e che per protagonista ebbe Rodion Camataru, attaccante della Dinamo Bucarest. In campionato segnò ben 44 goal, ma 21 di questi arrivarono nelle ultime sette giornate di campionato, facendo insospettire gli appassionati e gli addetti ai lavori. Il regime in effetti combinò i risultati delle partite e l’unica cosa che contava era far segnare Camataru. Il romeno vinse il trofeo, mentre secondo arrivò Anton Polster, attaccante austriaco che accettò il verdetto, non sapendo che successivamente sarebbe stato lui il vincitore reale: dopo attente indagini infatti fu appurato che le reti di Camataru erano frutto delle azioni di Ceausescu. Il regime in Romania ha fatto quello che ogni dittatura fa, ovvero avere tutto sotto il suo comando, e lo sport purtroppo non fa eccezione.

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Pubblicato da Christian Scala

Romano, diplomato al liceo linguistico Hegel, frequenta il corso di Scienze della Comunicazione all'Università Roma tre. Grande passione per il ciclismo e appassionato di calcio, ha collaborato con Centro Mare Radio e attualmente scrive per Torremare e L'ortica, due riviste online.