Tra Omero, il Valzer e la Champions League: l’Europa riabbraccia l’Ajax

approfondimento su Ajax

Tempo di lettura: 11 min

Madrid, 5 marzo 2019. Lo stadio Santiago Bernabeu assiste impotente al ritorno di una grande d’Europa. La monarchia merengue abdica, dopo tre anni di dominio, di coppe alzate nei cieli del Vecchio Continente, di imprese titaniche. L’Ajax di Erik ten Hag ha disegnato la nuova mappa geografica del calcio che conta, riportando Amsterdam e l’Olanda al centro dell’ecosistema pallonaro europeo. Un ritorno trionfale quello dei Lancieri, capaci di infliggere una dura lezione – nel gioco e nel risultato – ai campioni d’Europa in carica. È proprio il Bernabeu il teatro della consacrazione dei biancorossi. Oggi come 24 anni fa.

La clessidra del tempo e del mito pare essersi arrestata al Paseo de la Castellana, tra i seggiolini del tempio calciofilo madrileno. Gli sguardi e le sensazioni, però, sembrano essere immutate. Le similitudini tra l’Ajax versione moderna e la regina d’Europa del 1995 sono evidenti: lo stratega ten Hag può pennellare calcio e imporsi come degno erede del totem van Gaal; la fantasia al potere di Dusan Tadic è la reincarnazione della sinuosità e dell’estro del mago finlandese Litmanen; l’autorità e il carattere sono i comuni denominatori tra Matthijs de Ligt e Danny Blind. L’Europa e la Juventus sono avvisate: la notte madrilena ha ribaltato la geografia calcistica continentale e i Lancieri vogliono sovrastare l’Europa. Ancora.

L’Europa nel DNA: l’Ajax di Van Gaal

Maggio 1992. Ajax-Torino, finale Uefa, non si schioda dal pari a reti bianche. Un risultato che, complice il 2-2 dell’andata al “Delle Alpi”, consegnerebbe il trofeo agli olandesi. I cicli vincenti, nel calcio, vedono la luce della gloria nei momenti di difficoltà, di sofferenza e di impervia dicotomia con il fato. Il mito dell’Ajax post-calcio totale è racchiuso tutto nella celebre alzata di sedia di Emiliano Mondonico, compianto tecnico granata. Il segno di resa e di protesta dell’allenatore del toro fu l’epilogo di una serata indimenticabile per i Lancieri. La loro stagione fu segnata dalle grazie della dea bendata: il tecnico Leo Beenhakker, complice un avvio complicato in Eredivisie, venne esonerato nel settembre 1991 e sostituito dal suo vice, Louis van Gaal.

Una scelta societaria che, agli albori dell’insediamento del tecnico, non venne avallata dalla tifoseria. Il cambio tecnico risuonava tra i navigli di Amsterdam come un segnale di ridimensionamento societario e sportivo. Eppure, i risultati tra i confini nazionali, non lasciarono presagire niente di positivo: in campionato, i rivali del PSV Eindhoven viaggiavano a ritmi insostenibili, rendendo impossibile una rimonta biancorossa mentre l’avventura in KNVB beker, la coppa d’Olanda, si concluse ai quarti dinanzi al Feyenoord.

Tattica al potere

La rassegna europea in Coppa Uefa rappresentava di fatto l’àncora di salvataggio di una stagione nata sotto una cattiva stella, nonostante un complesso tecnicamente di prim’ordine. Con Stanley Menzo tra i pali, a fianco del quale si faceva le ossa un ragazzino, Edwin van der Sar, di enorme talento, l’esperienza di Blind in retroguardia si coniugava alla perfezione con la spensieratezza di due giovani di grandi speranze: Frank de Boer e Michael Reiziger. Edgar Davids in mediana mordeva le caviglie ai malcapitati avversari di turno (l’epiteto di “Pitbull” ne testimoniava con efficacia le qualità tecniche) mentre il lavoro geometrico e di equilibrio del complesso era interamente affidato al duo Wim Jonk-Aron Winter.

Davanti, la fantasia di Dennis Bergkamp, unita alla velocità e al carisma di Bryan Roy e John van’t Schip, imponevano uno stato di perenne apprensione negli avversari, talvolta incapaci di opporre un sistema tattico in grado di limitare le scorribande di una squadra votata al gioco in verticale e di prima.

All’Olympisch Stadion, il Torino fu una delle pochissime compagini dell’epoca ad aver messo in seria difficoltà il fortino biancorosso. Le velleità granata, che risposero ai nomi di Casagrande, Mussi e Sordo, si infransero per tre volte sui legni della porta aiacide. Uno 0-0, quello di Amsterdam, che consentì all’Ajax di ritrovare l’alloro europeo: dopo la coppa delle coppe del 1987 conquistata ad Atene, i Lancieri diventarono la seconda squadra in Europa (succedendo alla Juventus) a mettere le mani su tutte le competizioni continentali per club. Fu l’inizio di un ciclo vincente che, in Europa, ebbe avvio nella stagione 1994/1995, quella del grande ritorno nell’Europa dei grandi. Quella della Champions League.

Omero e l’Ajax: l’Amsterdam ellenica

Tra i pensieri e le maniacali descrizioni di Omero, tra i racconti densi di epica e le apoteosi per le battaglie vinte in condizioni disumane, prese forma la genesi e il mito dell’Ajax. Tre giovani ragazzi, tra i canali della capitale olandese, fecero confluire due passioni in comune – il calcio e la mitologia greca – in un club calcistico dalle radici elleniche. Aiace Telamonio, racconti dell’Iliade omerica alla mano, era il pilastro dell’esercito greco, nonché guida spirituale e carismatica che non conosceva soluzioni alternative alle conquiste e ai successi. Un eroe d’altri tempi, impavido nelle situazioni più ardue e glaciale nelle decisioni per il futuro del suo popolo. Le imprese di Aiace, radicate nella storia dell’ellenismo, disegnarono un profilo eroico che incarnava la perseveranza e il coraggio, privo di ogni paura o timore reverenziale.

La gigantografia del valoroso soldato domina l’ingresso dell’Amsterdam Arena, ribattezzata Johann Crujiff-Arena, alla quale è stata affiancata un’immagine intrisa di gloria: un Patrick Kluivert sorridente che, con le braccia protese verso il cielo, mostra a Vienna e all’Europa la quarta coppa dei campioni biancorossa.

Vecchi valzer viennesi: la marcia verso l’Austria

Vienna e lo stadio “Prater” furono sede dell’ultimo atto della Champions League del 1995. Un valzer, di straussiana memoria, dai ritmi insostenibili quello ballato dalla generazione d’oro biancorossa: Van der Sar, Reiziger, Blind, Rijkaard, F. de Boer, Seedorf, Finidi, Davids, R. De Boer, Litmanen, Overmars. Una formazione ripetuta a memoria, come quella della grande Inter o delle più celebri compagini che hanno segnato un’epoca nella storia del calcio. Al ballo dai ritmi esasperati, capitolarono una dopo l’altra, il Milan campione d’Europa, l’Austria Salisburgo e l’Aek Atene. Se la fase a gironi della Champions League si rivelò una pura formalità, la fase a eliminazione diretta mise in mostra tutta la forza dell’organico di van Gaal. Superato ai quarti l’Hajduk Spalato, il doppio confronto di semifinale con il Bayern Monaco di Giovanni Trapattoni si presentava all’insegna dell’equilibrio. Lo 0-0 finale in Baviera rimandava tutto al comeback di Amsterdam.

Ancora il Milan sulla strada verso la gloria

Convinti di poter controllare le danze, i tedeschi commisero l’errore più grave: sottovalutare l’avversario e lasciar loro il pallino del gioco. Il Bayern non poté alcunché contro l’onda d’urto del pubblico dell’Olympisch Stadion e dell’undici in campo. Il netto 5-2 finale spedì i bavaresi dritti all’inferno e consegnò all’Europa una certezza: l’Ajax era pronto a riprendersi il trono d’Europa, allietando il Vecchio Continente con nuove sinfonie, 22 anni dopo l’ultimo acuto targato Johan Cruijff.

L’avversario, però, incuteva timore: il Milan di Fabio Capello, reduce da una stagione altalenante in Serie A ma esaltante in Europa, raggiunse la terza finale consecutiva di Coppa dei Campioni, tornando allo stadio “Prater” di Vienna memore del trionfo del 1990 sul Benfica. Il doppio successo, netto, dei biancorossi sui rossoneri nella fase a gironi, non doveva però trarre in inganno. Il Milan, pur in crisi di identità e conscio di un ciclo vincente ai titoli di coda, era squadra esperta e abituata a certi palcoscenici. Louis van Gaal fu avvisato: l’Ajax era chiamato alla prova del nove. Senza appello. Verticalizzazioni e aggressività per riportare la coppa in Olanda, 7 stagioni or sono dal miracolo del PSV Eindhoven edizione 1988.

Europa biancorossa

A Vienna, in un’atmosfera emozionante, l’equilibrio regnò inesorabile. Il Milan mise alle corde i Lancieri per tutta la prima frazione di gioco senza riuscire ad abbattere il muro biancorosso. Le sliding doors della storia erano però pronte ad aprire nuovi scenari. A 5’ dalla fine l’ex Frank Riijkaard mise sul destro di Patrick Kluivert il pallone di un’intera carriera. L’attaccante, eludendo l’intervento di Zvonimir Boban prima e di Franco Baresi poi, batté in estirada Sebastiano Rossi. La rete mandò in visibilio gli oltre 30.000 olandesi giunti in massa in Austria. Fu l’apoteosi. L’alzata di coppa di Danny Blind mise d’accordo tutti. La corazzata olandese, oltre a possedere l’organico più completo, trionfò in Europa imbattuta e da saracinesca: solo 4 le reti incassate, in 11 incontri disputati.

Apoteosi madrilena

La consacrazione dell’Ajax in Europa e nel mondo avvenne in una fredda notte di Madrid. Il 22 novembre del 1995, i Lanceri ridicolizzarono il Real Madrid davanti ai suoi tifosi, nella quinta giornata della fase a gironi della massima competizione per club. Il diamante pallonaro olandese, con Jari Litmanen e (ancora) Patrick Kluivert interpreti del dominio aiacide in Europa, mise alle corde le Merengues in una partita che registrò il dominio dell’undici di van Gaal per tutti i 90’. Il 2-0 finale, almeno nel risultato, non sancì il reale abisso tecnico e individuale tra le due compagini. Poca cosa il Real Madrid di Jorge Valdano dinanzi alle scorribande degli avvoltoi olandesi. Solo la Juventus di Marcello Lippi e la lotteria dei calci di rigore, nella finale di Roma del 1996, impedirono ai Lancieri di bissare il successo continentale.

Dopo 22 anni, gli albori della gloria sembrano tornati in auge. Il Bernabeu, ancora una volta, ha assistito alla consacrazione di un gruppo di giovani speranze. David Neres, sull’out di sinistra, ha rispolverato vecchie rimembranze legate all’uno contro uno di Marc Overmars. Hakim Ziyech ha certificato la crisi del Real come fece a suo tempo George Finidi: generazioni agli antipodi, identico risultato. Dusan Tadic, l’alter ego di Jari Litmanen, ha giganteggiato dinanzi agli sguardi, persi, di un pubblico dal palato fine. Con un comune denominatore tra i due fantasisti: zittire il Santiago Bernabeu, non annoverabile tra gli accadimenti del calcio moderno.

Continua a brillare, diamante pazzo

L’Ajax di ten Hag vive sulla voce di David Gilmour e può completare il processo di nuova genesi sportiva tra le note di “Shine on you, crazy diamond” dei Pink Floyd: “remember when you were young, you shone like the sun”. “Ricorda quando eri giovane, brillavi come il sole”, recita il brano. 1995 e 2019: la forza della Juventus dirà all’Europa che ne sarà dell’Ajax. Luce abbagliante o gloria a intermittenza. Il confine tra favola e oblio è pronto ad assottigliarsi.

Condividi:

Pubblicato da Alessandro Fracassi

Nato in quel di Sassari nel 1992, cresciuto nel segno della leadership, del temperamento e della passione per i tackle del Guv'nor Paul Ince. Aspirante giornalista sportivo, studio giornalismo all'Università "La Sapienza" di Roma. Calcio e Basket le linee guida dell'amore incondizionato verso lo sport, ossessionato dagli amarcord, dal vintage e dai Guerin Sportivo d'annata, vivo anche di musica rock e dei film di Cronenberg. Citazione preferita: "en mi barrio aprendí a no perder".