La rinascita dell’Italia nel dopoguerra grazie al Giro d’Italia

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Con l’epidemia di Coronavirus molti eventi sportivi sono stati annullati o rimandati, compreso il Giro d’Italia ancora in cerca di una nuova collocazione. Il commissario tecnico della nazionale Davide Cassani ha dichiarato: “Non è solo una corsa ma un evento, e può essere un simbolo della nostra rinascita, come accadde nel dopoguerra”. La prima corsa rosa, quella del 1946, dopo la seconda guerra mondiale fu uno dei segni di rinascita del paese.

Le difficoltà

L’Italia era a pezzi, bisognava ricostruire dopo i numerosi danni creati dalla guerra, e come tutto il paese anche lo sport cercò di ripartire. Armando Cougnet, primo storico organizzatore del Giro d’Italia, cercò di riorganizzare la corsa, la cui ultima edizione era stata disputata nel 1940 con la vittoria di Fausto Coppi.

Per farlo chiamò il suo staff al cui interno entrò Vincenzo Torriani che nel 1949 prenderà il suo posto nell’organizzazione. A lui spettò il compito di trovare un percorso adatto per la disputa, visto che molte strade erano state danneggiate pesantemente dal conflitto oltre a trovare i mezzi affinché tutto si potesse svolgere regolarmente. Fu deciso che il Giro d’Italia della rinascita sarebbe partito da Milano il 15 giugno, per concludersi il 7 luglio con arrivo sempre nel capoluogo lombardo. Altra novità fu la nascita della maglia nera, riservata a chi fosse arrivato ultimo. Favorito era Coppi, mentre suo principale antagonista era Gino Bartali, che durante il conflitto aveva salvato molte famiglie di ebrei, e che lo porterà nel 2013 a essere dichiarato Giusto tra le nazioni. Non partecipò invece Fiorenzo Magni perché era accusato di aver partecipato con dei nazifascisti toscani a un eccidio, accusa da cui venne prosciolto l’anno seguente.

La sassaiola di Pieris

I due campioni non erano più compagni di squadra come sei anni prima, il piemontese correva per la Bianchi, il toscano invece era rimasto alla Legnano. Il primo duello tra i due ci fu durante la Prato-Bologna, Bartali in salita attaccò con Coppi che per rispondere al rivale cadde, ma il ciclista di Castellania ebbe una reazione da grande campione, recuperando su tutti e andando a vincere la tappa, mentre la maglia rosa in quel momento era Fermo Camellini. A Roma Papa Pio XII ricevette in udienza i ciclisti, ma il 30 giugno avvenne l’episodio storico a cui si fa riferimento quando si parla di questa edizione della corsa rosa: si correva la Rovigo-Trieste, la città giuliana era sotto il controllo degli alleati, la Jugoslavia di Tito la voleva come suo possedimento.

Chi era a favore di Tito prese come una provocazione la fine della tappa a Trieste. Quando i ciclisti arrivarono a Pieris, in provincia di Gorizia, furono prede di una violenta rappresaglia: gli fu lanciato di tutto, da blocchi di cemento a pezzi di barili, furono sparati anche colpi di pistola. La tappa fu neutralizzata, ma alcuni ciclisti decisero comunque di proseguire fino a Trieste, dove poi vennero accompagnati dai militari fino a Barcola e corsero i 5 km che li separavano dalla conclusione. Al loro arrivo furono accolti da molte bandiere tricolori e gente commossa, mentre a vincere una delle tappe più complicate nella storia della corsa fu proprio un triestino, Giordano Cottur.

L’ultima vittoria di “Ginettaccio”

Il giornalista Bruno Roghi scrisse “Il Giro d’Italia senza Trieste sarebbe come una statua decapitata, un fiume senza sorgente, una impresa senza meta”. La corsa continuò e due giorni dopo si rinnovò la sfida tra Bartali e Coppi, quest’ultimo vinse la tappa, ma la maglia rosa andò a “Ginettaccio”, dando una bella risposta ai suoi detrattori che lo accusavano di essere ormai a fine carriera e non più il campione che era stato prima della guerra. Bartali conservò la maglia rosa fino alla conclusione del giro con 47 secondi di vantaggio sul suo rivale e con cui continuerà ancora per molti anni a correre, venendo ancora oggi ricordata come la più bella rivalità del dopoguerra. Nel 1948 il toscano salverà l’Italia da una possibile guerra civile dopo l’attentato a Palmiro Togliatti andando a vincere il Tour de France.

Se nel dopoguerra il ciclismo organizzò tutte le sue corse, negli ultimi giorni è emersa una nuova possibilità per ripartire dopo l’epidemia: per quest’anno non correre nessuno dei tre grandi giri, quindi anche Tour de France e Vuelta di Spagna, per correre un unico grande giro, il Giro d’Europa. Organizzare ciò non è semplice, ma l’ipotesi è quella di correre sette tappe in ogni nazione, partendo dall’Italia e arrivando in Spagna. Se non si organizzasse questo grande e unico giro, quel che è certo è che il ciclismo ripartirà come tutte le cose dopo la fine dell’epidemia, più forte di come era fino a qualche mese fa, sperando anche in una rinascita globale del movimento.

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Pubblicato da Christian Scala

Romano, diplomato al liceo linguistico Hegel, frequenta il corso di Scienze della Comunicazione all'Università Roma tre. Grande passione per il ciclismo e appassionato di calcio, ha collaborato con Centro Mare Radio e attualmente scrive per Torremare e L'ortica, due riviste online.