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Reduce da una campagna europea – quella della Champions League 1994/1995 – a dir poco disastrosa (una vittoria e cinque scivoloni nella fase a gironi) la gloriosa Dinamo Kiev, il club più titolato e vincente nella storia dell’Unione Sovietica e dell’Ucraina, torna alla caccia di un risultato di prestigio continentale. Sono lontani anni luce i tempi in un cui la Dinamo incantava l’Europa con i gol del pallone d’oro Igor Belanov, il cinismo di Oleg Blochin e l’estro sulla trequarti del fantasista Oleksandr Zavarov.
Sembra un lontano ricordo anche l’autorità e il DNA vincente del direttore tecnico, il colonnello Valerji Lobanovskij, così come il trionfo in Coppa delle Coppe nel maggio 1986 a Lione, contro l’Atletico Madrid, proprio nelle settimane in cui il mondo trattiene il fiato per il disastro nucleare consumatosi a Chernobyl.
Kiev e una gloria da ritrovare
Calcio e Stato camminano fianco a fianco, condividendo un percorso tortuoso fatto di rovinose e devastanti dissoluzioni: con il crollo dell’Unione Sovietica del 1991, anche la Kiev ucraina vuole ricostruirsi dalle fondamenta. La capitale infatti, come già accade seppur in forma embrionale nelle neonate repubbliche della ex Jugoslavia, comincia a fiutare l’opportunità di sfruttare a proprio vantaggio l’appeal politico, mediatico ed economico che il calcio riesce a garantire per ripresentarsi, sotto nuove vesti, al tavolo della geopolitica mondiale. La gloria presente e soprattutto passata di cui gode la Dinamo e gli ingenti introiti (partecipazione al torneo e diritti televisivi) garantiti dalla vetrina Champions League, assicurano linfa vitale indispensabile alle società sportive che fanno parte della CSI (la Comunità degli Stati Indipendenti).
Rinnovate ambizioni
La storia però offre una nuova occasione alla Dinamo nel 1995. Dopo aver superato senza troppi patemi il turno preliminare contro i danesi dell’AAB Aalborg, l’urna di Ginevra mette davanti ai biancoblù ucraini tre compagini di assoluto valore nel gruppo A: il Nantes campione di Francia, il Porto guidato in panchina da Bobby Robson e i campioni di Grecia del Panathinaikos del bomber polacco Krzysztof Warzycha.
La stessa Dinamo si presenta ai nastri di partenza della Champions League con ambizioni importanti: guidata in panchina da Jozsef Szabo, ex tecnico della nazionale sovietica e leggenda del calcio del blocco comunista tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la squadra simbolo di Kiev è squadra coriacea. Sono diversi i prospetti interessanti: il centrocampista Evgenij Pokhlebaev, classe ’71 con il vizio del gol; Juri Kalitvintsev in mezzo al campo come regista e l’esperienza in difesa del classe ’68 Oleg Luzhnji. In avanti, sono invece due i giocatori che assicurano alla Dinamo un sicuro avvenire: Pavel Shkapenko ma soprattutto un ragazzo di talento, classe 1976. Il suo nome è Andrij Shevchenko.
Dal paradiso all’inferno
Con queste premesse, la qualificazione appare una lotta ad armi pari. Il battesimo di fuoco è in programma il 13 settembre 1995 allo Stadio Olimpico di Kiev contro il Panathinaikos. L’imperativo per la Dinamo è partire con il piede giusto. Dalla stagione 1995/1996 infatti, la vittoria nella fase a gironi vale 3 punti e le gare casalinghe rappresentano lo spartiacque per materializzare concretamente l’obiettivo quarti di finale. I 90.000 dell’Olimpico spingono la Dinamo e, dopo un forcing serrato, Vitalij Kosovski firma nella ripresa il primo acuto continentale degli ucraini. L’entusiasmo è alle stelle ma è solo la quiete prima di una tempesta che si appresta a travolgere il calcio orientale.
Il match è terminato da poco più di un paio d’ore. Consumatesi le conferenze stampa e i controlli antidoping di rito, le attenzioni dei giornalisti presenti sono tutte rivolte verso lo spogliatoio dell’arbitro, il malagueno Antonio Luis Lopez Nieto. Direttore di gara internazionale dal 1992, l’arbitro spagnolo è protagonista di un acceso diverbio con Vassilij Babichuk, segretario generale della Dinamo Kiev e alcuni emissari del club ucraino. Volano parole grosse, spintoni, accuse reciproche. Il tutto sotto l’attenta supervisione dei delegati Uefa e dei cronisti che cercano di ricostruire l’accaduto. La terna arbitrale lascia lo stadio così come i delegati della Federcalcio europea che, come un fulmine a ciel sereno, lanciano la bomba: “i vertici societari della Dinamo Kiev hanno tentato di corrompere gli ufficiali di gara. Apriremo un indagine”.
L’accusa
I risultati di prestigio sul campo e i miliardi garantiti dalla Champions League fanno gola a un club che si sta ricostruendo sportivamente e politicamente. Tornare a occupare un ruolo di rilievo nell’élite del calcio europeo induce la dirigenza della Dinamo Kiev in tentazioni illecite che costano carissime.
Manie di grandezza continentale per i biancoblù ucraini che, oltre alle proprie qualità tecniche, hanno pensato di ricorrere a una strategia ben precisa: persuadere il direttore di gara del match con il Pana fin dal suo arrivo in Ucraina per cautelarsi contro ogni possibile sorpresa. Come? Con offerte di ogni tipo: pellicce pregiate, ingenti somme di denaro e prostituzione. Lopez Nieto, nel dopo partita di Dinamo-Panathinaikos, ha provveduto a informare tempestivamente i delegati Uefa, fotografando tutti i “regali” ricevuti dai dirigenti ucraini. L’Uefa apre l’indagine: il rischio per la Dinamo è una squalifica di due anni dalle competizioni europee.
La difesa
Lo scandalo corruzione travolge l’Ucraina e Kiev ma, al contempo, getta tutto il calcio europeo in un alone di mistero e interrogativi sulla credibilità del pallone nel Vecchio Continente. I dirigenti del club giurano sulla loro innocenza e preparano un dossier da presentare alla Uefa con minuziosa ricostruzione dei fatti e correlate prove a carico. L’ago della bilancia è Vassilij Babichuk, segretario generale della Dinamo che, con il General Manager Igor Surkis, un’interprete ingaggiata per due giorni e il tuttofare del club ucraino Brakshi, fa gli onori di casa la mattina del 12 settembre 1995 prelevando, all’aeroporto di Kiev, Lopez Nieto e i direttori di gara per poi accompagnarli all’Hotel Dnepr presso il quale dovevano alloggiare.
Secondo la ricostruzione della Dinamo Kiev, l’arbitro avrebbe esplicitamente chiesto di essere accompagnato presso un negozio di artigianato ucraino che aveva visitato già nel 1992 e, in seguito, presso un laboratorio di pellicce per fare acquisti. Presso il laboratorio Nieto ha scelto due pellicce (una per la madre e l’altra come regalo per la moglie) oltre a quattro cappelli di visone. Per lo stesso arbitro e i suoi collaboratori sono poi sorti problemi di taglia, prontamente risolti dalla direttrice del laboratorio che ha garantito ai direttori di gara di trovare le misure a loro più congeniali entro le 12 del 13 settembre, giorno della partita. La mattina seguente un incaricato del laboratorio avrebbe poi consegnato, all’Hotel Dnepr, le tre pellicce più una fattura di trentamila dollari, circa trentottomila euro attuali. Alla visione della fattura, l’arbitro avrebbe reagito furiosamente: infastidito dall’eccessivo ammontare del conto, avrebbe infatti restituito le pellicce e i cappelli seguito a ruota dai suoi collaboratori.
Un intrigo…internazionale
Trentamila dollari, nell’Ucraina degli anni Novanta, sono una cifra importante. Quasi proibitiva per un club calcistico che sta cercando di ricostruirsi dalle fondamenta e che eviterebbe di corrispondere a un arbitro per uno scambio di favori. Secondo Babichuk e l’addetto stampa della Dinamo, Aleksij Semenenko, il risentimento del direttore di gara per l’eccessivo costo dei capi lo avrebbe indotto a denunciare un tentativo di corruzione che, sostiene la Dinamo, non si è mai verificato.
Dell’intricata vicenda si è occupato anche il Procuratore Generale della Repubblica ucraina che ha aperto, parallelamente all’Uefa, un’indagine contro Lopez Nieto per danni arrecati all’immagine dello Stato. L’iniziale fiducia del patron del club, Grigorij Surkis, lascia progressivamente posto all’incubo quando, a fine settembre ’95, l’Uefa si pronuncia definitivamente sul caso.
La sentenza
20 settembre 1995. A Ginevra, quartier generale dell’Uefa, il Consiglio disciplinare del calcio europeo gela le speranze della Dinamo. Crolla, inesorabilmente, il dossier della società ucraina che niente ha potuto davanti alle schiaccianti prove fornite da Nieto: il glorioso club di Kiev subisce l’immediata esclusione dalla Champions League ’95-’96, alla quale si aggiunge una squalifica di tre anni dalle coppe europee (in appello, l’esclusione viene poi ridotta a una sola stagione sportiva).
Devastanti le conseguenze anche all’interno dell’organigramma societario: radiati a vita, per coinvolgimento diretto, Babichuk e Igor Surkis senza contare gli effetti disastrosi (soprattutto a livello economico) che la squalifica provoca per il club e per il movimento calcistico ucraino. Al posto della Dinamo Kiev l’Uefa ripesca poi l’AAB Aalborg, i campioni di Danimarca eliminati proprio dagli ucraini nel turno preliminare. Il caso-Dinamo è stato il secondo, nel giro di due anni, nell’est Europa. Nel 1993 un’altra storica Dinamo, i georgiani del Tbilisi, avevano tentato approcci illeciti con il direttore di gara, il turco Metin Tokat. Gli vennero offerti 5.000 dollari per facilitare il superamento del turno preliminare contro i nordirlandesi del Linfield. L’arbitro non cedette alle illecite lusinghe e denunciò l’accaduto. Ghigliottina-Uefa anche in quell’occasione: i georgiani dovettero rinunciare all’Europa per due stagioni.
Consolazioni
La Dinamo Kiev si rifarà nel febbraio del 1996, in occasione della Coppa dei Campioni, torneo aperto alle squadre vincitrici dei campionati dei paesi appartenenti alla CSI e alle Repubbliche baltiche. Gli uomini di Szabo arrivano fino alla finale, disputata contro i campioni russi dell’Alania Vladikavkaz nell’insolita cornice del palazzetto dello sport di Mosca. La Dinamo fa suo incontro e coppa: finisce 1-0. Decide il baby prodigio Shevchenko che farà cose discrete (eufemismo) negli anni avvenire.