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Comunque vada, di Real Madrid – Bayern Monaco si continuerà a parlare fino alla fine della stagione sportiva 2017/18. Secondo ed ultimo atto della semifinale tra le due principali pretendenti al titolo continentale, la sfida del Santiago Bernabéu decreterà la prima finalista del torneo, in attesa del ritorno dell’Olimpico fra Roma e Liverpool (con annessa, si spera, ennesima rimontona della banda di Di Francesco).
Pragmatismo tedesco da una parte, madrilena spettacolarizzazione del giuoco del calcio abbinata ad un sempre più presente (e pressante) cinismo dall’altra. Uno scioglilingua che descrive due modi di vedere ed interpretare il calcio diversi si incontrano e scontrano regolarmente in grandi appuntamenti internazionali, rendendo ormai da sempre questa sfida un classico del calcio moderno.
Da una parte il Bayern di Jupp Heynckes, cavallo di ritorno bavarese (dopo l’esonero di Carlo Ancelotti) che a fine stagione lascerà di nuovo il club. Dall’altra il Real Madrid di Zinedine Zidane, allenatore capace di vincere due Champions League consecutive ma comunque perennemente discusso, criticato, a rischio (ah, che palati fini quelli madridisti…). Un duello che ricorre, che fa tornare alla memoria -senza andare troppo indietro nel tempo- quel quarto di finale dello scorso anno in cui, tra andata e ritorno, la furia di Cristiano Ronaldo (e della terna arbitrale, sull’Occhio Sportivo non vogliamo certo prendervi in giro) si abbatté senza pietà sulla difesa tedesca, trascinando i blancos verso la finale di Cardiff.
Il match di andata all’Allianz Arena ha fornito importanti indicazioni sullo stato di forma delle due squadre: proviamo ad analizzare quello che è stato e quello che, invece, possiamo aspettarci dal ritorno del Bernabéu.
QUI MADRID
Non c’è verso: il Real Madrid è una macchina da vittoria in Champions League. Può giocare male, può non giocare affatto, può permettersi il lusso di avere Ronaldo apparentemente evanescente, lontano parente di quello dei cinque gol in due partite dello scorso anno. Un’invenzione, un lampo di genio, una giocata di estrema qualità –oppure una decisione arbitrale a tempo scaduto– sembrano poter permettere agli uomini di Zidane di superare qualsiasi ostacolo.
All’Allianz Arena il Real non ha giocato bene, affatto. Ma ha vinto, si è imposto sul Bayern rimontando il gol iniziale di Kimmich, ha portato a casa un risultato importantissimo, prorprio come lo scorso anno. 7 tiri totali, 4 in porta, due gol: precisione e accuratezza quasi letali. Ma solo il 40% di possesso palla nell’arco dei novanta minuti, con quasi il doppio dei falli commessi (14 a 8). Statistiche da stroppiacciarsi gli occhi -in negativo- per i bicampioni d’Europa, che però forniscono una chiave di lettura incentrata sulla loro estrema capacità di finalizzazione.
Insomma, vai sotto, ti prendi anche qualche fischio, aspetti il tuo turno, poi colpisci e vinci. Mica male.
E al Bernabéu? Ci aspettiamo una partita spavalda, senza esagerare: gli ottantamila che accorreranno a supportare le camisetas blancas vorranno vedere uno spettacolo ben diverso dal match di andata o da quello contro la Juventus. Certo, un’aggressiva e coordinata pressione alta sui portatori di palla arretrati potrebbe spingere all’errore sistematico il Madrid, generando confusione nella sua retroguardia. Ma, al di là di ogni possibile disquisizione tattica, il Real non potrà prescindere ancora una volta dalla propria stella più luminosa, quel Ronaldo che dovrà accendersi e accompagnare i suoi verso la terza finale europea consecutiva.
QUI MONACO
Il Bayern Monaco ha un piccolo -si fa per dire- problema: non riesce mai a vincere contro il Real Madrid. Mercoledì sera, pur giocando sostanzialmente meglio degli avversari, Müller&Co non sono riusciti nell’impresa di spezzare la maledizione che li avvolge da ormai sei partite consecutive, in fatto di scontri diretti con i blancos.
Hanno sicuramente pagato dazio, nell’economia del match, le gravissime assenze nell’undici di partenza (out per infortunio pedine non da poco come Neuer, Coman, Vidal e Alaba) e gli infortuni a tempo quasi zero di Jerome Boateng e Arjen Robben, che hanno di fatto privato il Monaco di due tasselli fondamentali dello schieramento tattico di Heynckes.
Mancanza di titolari e pizzichi di sfortuna a parte, quello che ha veramente segnato la sconfitta dell’Arena è stata l’assenza di cinismo sotto porta, esattamente all’opposto dei campioni d’Europa in carica. Troppe volte la palla è arrivata al limite o all’interno dell’area di rigore senza che nessun biancorosso riuscisse ad arrivare di prepotenza, di forza, di cattivera a spingerla in rete (60% di possesso palla, 55 azioni d’attacco pericolose, 13 tiri totali contro un top-team mondiale, 1 solo gol realizzato. Notate qualche differenza con le statistiche del Real?).
E allora è toccato ad un signore di nome Franck Ribéry, 35 anni suonati, chiamare a raccolta i suoi e provare a portare la croce della riscossa, senza tuttavia riuscire a trovare la giocata del controsorpasso. In effetti è stato quasi sportivamente commovente vederlo far girare la testa al povero Carvajal senza però trovare un adeguato supporto dai compagni di reparto.
E al Bernabéu? Ci aspettiamo un ulteriore sforzo, per tornare a giocarsi una finale di Champions che manca ormai da quella magica notte di Wembley del 2013, quando i bavaresi sconfissero i rivali del Borussia Dortmund e portarono in Baviera la Coppa dalle grandi orecchie. Cinque anni di digiuno: troppi per lo stato maggiore tedesco e per un club abituato a vincere il proprio campionato a marzo/aprile, ma incapace di arrivare con costanza sulla cresta dell’onda europea. Nonostante le molteplici defezioni fra i titolari, servirà una prova di orgoglio dei ragazzi di Heynckes: prendere come esempio proprio la mancata impresa della Juve, e sperare che il Real, per una volta, non sia in modalità “vittoria sempre e comunque”.