Mondiali 2018, Girone A: gli interessi politici del Medio Oriente si intrecciano in campo

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Giovedì 14 giugno a Mosca alle ore 18 locali, Russia e Arabia Saudita disputeranno il match inaugurale dei Mondiali di calcio 2018. Il giorno seguente, invece, a Ekaterinburg andrà in scena la seconda partita del girone A, Egitto-Uruguay.

Il girone A ci regalerà senza dubbio gare emozionanti, grazie a squadre che uniscono qualità e quantità, impreziosite da giocatori di assoluto livello. Salah, Cavani e Suarez su tutti. Ma non affronteremo questo Mondiale solo dal punto di vista tecnico o tattico. In questa nostra rubrica il calcio si intreccerà fortemente alla politica, proprio come nel raggruppamento che stiamo per analizzare. Dove un campo da calcio farà eco alle questioni politiche più attuali e spinose del Medio Oriente.

Il Medio Oriente come paradigma della Guerra Fredda

Le vicende politiche di tre delle quattro nazioni del girone A sono strettamente legate fra loro. Fa eccezione solo l’Uruguay che, per motivi prettamente geografici, poco ha avuto a che fare con gli altri Paesi di questo raggruppamento

Negli anni del secondo dopoguerra, l’Egitto era senza dubbio lo Stato arabo più vicino all’URSS. Alla fine del confitto mondiale, il movimento nazionalista egiziano cominciò a manifestare tutto il suo dissenso nei confronti dell’occupante britannico. Tra il 1952 e il 1953, infatti, i nazionalisti del generale Nagib deposero il re con un colpo di Stato. Fu proclamata la repubblica e, nel giro di pochi mesi, i militari inglesi furono costretti ad abbandonare l’Egitto, fatta eccezione per la strategica zona del canale di Suez. Questi cambiamenti portarono inevitabilmente l’Egitto dalla parte dell’URSS, in un mondo che in quegli anni si stava dividendo in due schieramenti: uno filo-sovietico, l’altro filo-statunitense, per il periodo storico che tutti noi conosciamo come Guerra Fredda.

All’inizio degli anni ’70, però, il cambio di governo egiziano portò anche a un cambiamento della politica estera del Paese arabo. Gli USA assicurarono all’Egitto protezione, buoni accordi di commercio e miliardi di dollari annui in aiuti militari in cambio di un appoggio nella gestione del conflitto israelo-palestinese. Nel 1973, i rappresentanti sovietici furono addirittura cacciati dal suolo egiziano, che diventò così il più fedele alleato degli Occidentali in Medio Oriente.

Pochi anni più tardi, in Afghanistan, la Repubblica Democratica Afghana si trovava a combattere l’offensiva dei ribelli, noti come mujaheddin. I guerriglieri erano appoggiati da varie nazioni, tra cui proprio gli USA e l’Arabia Saudita. L’URSS, da sempre alleata della repubblica afghana, si trovò costretta a scendere in campo per rispondere alla grande mobilitazione delle forze americane, ma si trovò costretta, dopo quasi dieci anni di conflitto, a un ritiro nel 1989, che segnò la vittoria dei mujaheddin e una logorante sconfitta per una Unione Sovietica ormai vicina alla disgregazione.

Allo stesso modo, Russia e Arabia Saudita si sono scontrate, anche se in via indiretta, negli ultimi anni. Le due potenze, infatti, appoggiano due schieramenti diversi sia nella guerra civile in Siria, dove Putin è grande alleato del presidente siriano Assad, sia in quella in Yemen, dove l’Arabia Saudita è in rapporti conflittuali con l’Iran, Stato molto vicino ai sovietici.

L’Iran ha delle mire sulle questioni economiche del Medio Oriente, cosa che infastidisce non poco il sovrano saudita Salman, capo di uno dei Paesi più ricchi al mondo grazie ai giacimenti petroliferi. Proprio questi ultimi sono stati uno dei principali motivi per cui re Salman e suo figlio il principe Mohammad bin Salman hanno fatto visita a Putin al Cremlino nell’ottobre del 2017. Nello storico incontro (è la prima volta che un sovrano saudita si reca in visita a Mosca), le due parti hanno stipulato accordi per l’acquisto da parte dell’Arabia di missili, aerei e svariate armi prodotte dalla Russia.

Re Salman vuole che l’Iran si faccia da parte nella penisola yemenita, per ottenere una stabilità nel Medio Oriente che permetterebbe una crescita economica a livello mondiale. Putin è rimasto soddisfatto dell’incontro, anche perché in molti hanno parlato di uno smacco a Donald Trump, fin’ora principale interlocutore economico del sovrano saudita.

Come l’Arabia Saudita, anche l’Egitto negli ultimi anni ha dato una netta sterzata ai rapporti con il governo russo. Putin e il presidente egiziano Al-Sisi hanno stretto un’alleanza militare e commerciale: l’Egitto ha comprato da Mosca jet, missili e elicotteri per una somma vicina ai 3,5 miliardi di dollari. L’accordo, stipulato il 30 novembre del 2017, permette alla Russia di utilizzare le basi aeree egiziane e viceversa. I paracadutisti delle due nazioni svolgono esercitazioni congiunte sul suolo egiziano per scongiurare attacchi terroristici.

È piuttosto chiaro, dunque, che il panorama mediorientale sta cambiando. Il leader sovietico sta abilmente sfruttando un momento di stanca della politica estera USA per stringere patti anche con nazioni da sempre filo-statunitensi. Ora, in Medio Oriente, nessuno muoverà un dito senza prima pensare alla reazione di Putin. Questo è il vero significato del potere politico.

Dalla geopolitica al football: Girone A

Se nelle relazioni internazionali abbiamo quasi ignorato del tutto l’Uruguay, in campo Russia, Egitto e Arabia Saudita dovranno fare molta attenzione alla squadra sudamericana. La Celeste, per storia, tradizione calcistica e ottimi giocatori è probabilmente la favorita per la vittoria del girone A. Il ct Oscar Tabarez, al suo quarto mondiale (record storico), potrà contare sulla coppia difensiva formata da capitan Diego Godin e Gimenez, sulla diga di centrocampo con Vecino e Torreira e su due bomber di razza come el Pistolero Luis Suarez e il Matador Edinson Cavani.

A infastidire i due volte campioni del mondo sarà sicuramente l’Egitto. Appena al terzo mondiale della sua storia, la nazionale araba, guidata dall’hombre vertical Hector Cuper, gioca un calcio rapido, pragmatico e ficcante. Tutte caratteristiche che ritroviamo nella sua unica stella: Mohamed Salah, 44 gol e 16 assist in 52 presenze stagionali. Semplicemente mostruoso. Il suo infortunio ai legamenti della spalla nella finale di Champions League del 26 maggio scorso ha tenuto un intero popolo con il fiato sospeso. Salah è il simbolo dell’Egitto e degli egiziani, non averlo al Mondiale sarebbe per loro un durissimo colpo. Ma questo rischio dovrebbe essere scongiurato: l’attaccante, con ogni probabilità, salterà solamente la partita d’esordio contro l’Uruguay.

Un gradino sotto troviamo la nazionale padrone di casa. La Russia è una squadra dai valori tecnici piuttosto nella norma e con tanti giocatori mai sbocciati del tutto, come il trequartista Dzagoev, finito tra le seconde scelte del ct Cherchesov. Capitan Akinfeev non è mai stato un portiere affidabile, ma toccherà lui difendere i pali della nazione dagli undici fusi orari differenti. Occhio a due giocatori del CSKA Mosca: il naturalizzato terzino destro Mario Fernandes e il centrocampista classe ’96 Aleksandr Golovin. Potrebbero essere due delle rivelazioni del Mondiale.

Praticamente composta da giocatori sconosciuti al panorama europeo, l’Arabia Saudita si candida a essere la mina vagante del girone A. Anche se, probabilmente, la prospettiva di diventare la squadra cuscinetto del gruppo è molto più realistica. Come dimostrato dalla non brillantissima prestazione in amichevole contro la prima Italia di Mancini.

Precedenti, dettagli e cenni storici

Gli unici precedenti “mondiali” tra le squadre del girone A vedono entrambi protagonisti Uruguay e Russia. Nel primo, a Cile ’62, l’allora URSS si impose per 2-1 sulla Celeste nei gironi eliminatori. Il 14 giugno 1970, invece, mentre in Italia si cantava la stupenda “Fiori rosa, fiori di pesco” di Lucio Battisti, le due squadre si incontrarono ai quarti di finale, con l’Uruguay che eliminò l’Unione Sovietica con un secco 0-1.

Questo mondiale avrà vita nello Stato meno europeo d’Europa. Per dimensioni, alfabeto, religione e cultura. La Russia, pur ridimensionata nel territorio dopo il crollo dell’Unione Sovietica, è di gran lunga la nazione più grande del mondo. Questo Paese vanta una società plurale sia dal punto di vista etnico che culturale: più popoli convivono da sempre nelle stesse città. Proprio la toponomastica ci fornisce un indizio della multiculturalità della Russia: tutte le città europee sono chiamate con più nomi, in più lingue. Ad oggi, sono presenti più di cento gruppi etnici e linguistici diversi in quello che, più che uno Stato-nazione, è una nazione-impero.

È, semplicemente, la Russia.

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Pubblicato da Andrea Esposito

Nato a Roma il 6 marzo 1994, si interessa di sport da quando è bambino. Dopo il diploma di liceo scientifico, nel luglio del 2017 consegue la laurea con 110 e lode alla facoltà di Scienze della Comunicazione a Roma Tre. Nel novembre del 2019, invece, consegue la specialistica in Informazione, Editoria e Giornalismo, sempre presso l'ateneo di Roma Tre e sempre con la votazione di 110 e lode. Il percorso di studi non ha intralciato la sua carriera agonistica: gioca a pallanuoto dal 2004 e, dopo aver militato nelle nazionali giovanili e nei maggiori campionati italiani, è oggi giocatore semiprofessionista e addetto stampa ufficiale della R.N. Frosinone e allenatore delle giovanili.