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“Il colore è un mezzo che esercita sull’anima un’influenza diretta. Il colore è un tasto, l’occhio il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde.” Fu Vasilij Kandinskij, padre fondatore della corrente pittorica dell’Astrattismo, a definire il ruolo centrale del colore agli albori del XX secolo. La lungimiranza del pittore russo si spinge però oltre il mero concetto artistico: l’opera d’arte e i colori che la compongono suscitano qualcosa di più di una semplice emozione. Le linee cromatiche infatti generano due distinti effetti nell’osservatore: quello più immediato è l’effetto “fisico“, attraverso il quale lo spettatore assorbe nella sua memoria l’idea soggettiva di colore che l’occhio ha suggerito per lui.
Calcio e colori: tra identità, storia e arte
Il secondo effetto è di tipo “psichico“. Secondo la teoria di Kandinskij infatti, i colori suscitano nell’uomo una vibrazione dello spirito, un effetto della forza psichica dell’essere umano che associa a ogni singola entità cromatica una delle qualità sensibili di cui è dotato: ogni colore ha infatti odori, suoni, sapori distinti. Il colore è però anche simbolo identitario: dietro ogni sfumatura, la mente umana ricostruisce esperienze e emozioni vissute o ne edifica di nuove. È in questo contesto che il calcio riesce abilmente a inserirsi. Perché? Perché non può esistere un calcio senza colore. Dietro ogni sfumatura, dietro ogni riga orizzontale o verticale, si nascondono passioni e orgoglio; emozioni forti e identità da difendere; si nasconde la storia che noi stessi indossiamo e che, tra le tribune degli stadi, invochiamo. Prodotto dell’associazione tra l’effetto cromatico e il calcio è la maglia da gioco. Più di un indumento, più di un prodotto legato al mero merchandising.
L’Occhio Sportivo si rimette ancora una volta in gioco e intraprende un percorso di storia e colori, di ricordi e trionfi, capace di ridisegnare i significati intrinseci del football. Un viaggio che parte, trainato dal vento del mare, e ci conduce verso una pipa fumante, verso i marinai, verso la Genova blucerchiata.
L’Asics supera sé stessa: la maglia Home della Sampdoria 1991/1992. Un gioiello raro
Ago, filo e un blu oceano che ipnotizza anima, occhio e gusto. La teoria cromatica di Kandinskij ci suggerisce il fatto che il colore blu, lo stesso del cielo, sia sinonimo di profondità: quando esso è eccessivamente scuro e tende al nero, viene associato alla drammaticità di un evento. Quando invece tende a una tonalità più chiara suggerisce tranquillità, spensieratezza. Proprio la serenità del blu – colletto compreso – domina il capolavoro realizzato dallo sponsor tecnico blucerchiato, l’ASICS, azienda giapponese specializzata nella produzione di articoli sportivi.
La casacca blucerchiata è di rara bellezza, un capolavoro con pochi eguali. L’impostazione è la stessa della maglia della stagione dei sogni, la 1990/1991 ma con evidenti aggiunte. Nella parte centrale lo storico sponsor commerciale ERG (azienda locale specializzata nei settori relativi all’energia e al petrolio, la cui partnership ha accompagnato la Sampdoria in due differenti fasi della sua giovane storia) domina sulle classiche righe orizzontali, disposte ad altezza addome e nell’immutabile ordine bianco-rosso-nero-bianco. Al centro delle stesse campeggia la croce di San Giorgio, simbolo identitario cittadino. Un gioiello raro la maglia blucerchiata dei primi anni ’90, impreziosita inoltre da due elementi che, al contempo, fanno rima con semplicità e mito: al logo dell’ASICS collocato nella parte destra della maglia, si contrappone il primo storico scudetto vinto nel 1991, cucito a mano. Il tricolore determina il “trasloco” dello stemma del club, spostatosi nella manica sinistra della casacca.
La Genova doriana ammira il suo diamante
24 agosto 1991, finale di Supercoppa italiana. La Sampdoria scudettata ospita a Marassi la Roma, vincitrice della Coppa Italia e artefice del mancato double nazionale del sodalizio ligure. Solo due mesi prima infatti i giallorossi di Ottavio Bianchi hanno strappato alla Sampdoria il quarto trionfo in coppa nazionale della sua storia. Boskov e i suoi non hanno però perso il vizio: la maglia viene immediatamente battezzata con un trionfo. Il caldo afoso che intrappola Genova lascia pochi margini di manovra alle due squadre in campo.
Chi non perde lucidità, estro e cinismo è però Roberto Mancini: è il 30′ del secondo tempo quando “Bobby Gol” lascia partire, dal limite dell’area di rigore, una violenta conclusione che non lascia scampo a Cervone. Marassi in tripudio, squadra in estasi: è un deja-vu. Mancini alza al cielo la prima Supercoppa sotto gli occhi di un Paolo Mantovani in visibilio. Il film della gloria non prosegue però in campionato: i campioni d’Italia perdono punti già nelle prime giornate di A. Lo scudetto lascia Genova e torna, dopo quattro anni, nella Milano rossonera. Sarà però la Coppa dei campioni il palcoscenico nel quale la maglia blucerchiata brillerà di luce propria.
EuroSamp: il debutto del blucerchiato nell’Europa dei grandi
La casacca blucerchiata edizione 1991/92 è l’abito da sera che la Sampdoria indossa per le serata di gala continentali. Oltre ad essere un talismano: nel primo turno, i norvegesi del Rosenborg vengono spazzati via. Al 5-0 nel match di andata a Marassi, si aggiunge il 2-1 di Trondheim con il quale Vujadin Boskov e i suoi blindano il passaggio del turno.
Agli ottavi di finale, i temibili ungheresi della Honved di Budapest mettono in ginocchio la Samp: un gol di Toninho Cerezo non è bastato a evitare la sconfitta. Il 2-1 ungherese obbliga Vialli & co. a una notte magica. E così sarà: il blu “spensierato” di Kandinskij identifica al meglio la prestazione della Sampdoria nel match di ritorno. Una capocciata di “Popeye” Lombardo e una doppietta di Gianluca Vialli rendono vano il gol dell’1-3 della Honved, arrivato su sfortunata autorete di Fausto Pari. È il passaggio del turno. È la prosecuzione di un sogno.
Wembley calling
La Samp stacca il pass per la semifinale. Il turno che attende Vujadin Boskov e i suoi è però particolare e figlio di una serie di riforme delle competizioni Uefa che porteranno il calcio europeo verso la modernità. La Coppa dei campioni cambia volto: dalla stagione 1992/93 si chiamerà Champions League.
Quest’ultima denominazione non è altro che l’etichetta con la quale l’Uefa identifica la semifinale del torneo 1991/1992, in un’insolita fase a gironi (due gruppi) che apre le porte della finalissima di Wembley alle prime due classificate. In un raggruppamento composto da quattro top team, la Sampdoria dovrà sgomitare con i campioni belga dell’Anderlecht, Panathinaikos e Stella Rossa di Belgrado per coronare un sogno.
Samp da impazzire
Il blucerchiato domina l’Europa e si presenta nella sua miglior versione il 1 aprile 1992 a Sofia. Padrona di casa è la Stella Rossa Belgrado campione d’Europa in carica che disputa in Bulgaria le gare casalinghe europee. Motivo? Lo stato di tensione nei Balcani. Le continue frizioni politiche, religiose e identitarie che coinvolgono Belgrado, Zagabria e Sarajevo si inaspriranno considerevolmente, in un’escalation di guerra, sangue e terrore che annienterà in pochi anni l’unità nazionale jugoslava.
Chi non si fa intimorire dall’inferno biancorosso creato ad hoc dai Delije (gli “Eroi” ultras della Stella Rossa) è proprio la Sampdoria. Il blu oceano della maglia brilla nella notte bulgara: il gol dello svantaggio, firmato Sinisa Mihajlovic, viene ribaltato da Srecko Katanec, da un autorete di Goran Vasilijevic e dal sigillo, nella seconda frazione di gioco, di Gianluca Vialli. La realtà, ora, dice finale di Coppa dei campioni. Avversario? Il Barcellona di Johann Crujiff, il Dream Team.
La beffa
“Maglia che vince non si cambia”. Boskov sfida la scaramanzia, complice anche l’Uefa per la quale la squadra di casa della finale è il Barça. La Sampdoria che calca il prato di Wembley per l’ultimo atto della Coppa dei campioni abbandona il blu e si veste di bianco per l’occasione più ghiotta della sua storia. Nella teoria dei colori di Kandinskij, il bianco rappresenta un’ecosistema a sé stante, all’interno del quale ogni colore si annulla. Il pittore, padre dell’Astrattismo, lo dipinge come un muro invalicabile fatto di silenzi, un colore che, interiormente, non scuote l’anima.
Teoria che si presta, crudelmente, alla pratica: Vialli sotto porta sbaglia l’impensabile. Eppure resiste lo 0-0. Supplementari. Il Barcellona spinge e a pochi istanti dalla fine del match c’è un calcio di punizione dal limite dell’area di rigore blucerchiata. Sul pallone si presenta Ronald “Rambo” Koeman che, con una sassata di destro, scaccia via lo spettro dei rigori e dissolve in polvere le speranze doriane. Il piazzato dell’olandese è una lama tagliente che squarcia i sogni blucerchiati e si tramuta poi in un assordante silenzio. E in quei momenti, anche nello sport, il dolore ha un solo colore.