Belgio-Inghilterra: un Mondiale ricco di sogni infranti

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Le due sconfitte nelle semifinali di Russia 2018 si affrontano nella partita che vale il terzo posto. Belgio-Inghilterra è la sfida tra le grandi speranze delle due compagini, divenute grandi rimpianti.

San Pietroburgo. 14 luglio. Sarà la partita delle speranze svanite, quella del terzo o quarto posto. La partita dei sogni toccati con mano e poi bruscamente strappati quando la gloria sembrava a portata di mano. È il triste destino che accomuna il duo Belgio-Inghilterra, a un passo dal sogno. Le due nazionali si leccano le ferite e si sfidano in una finale che può regalare il terzo posto nella competizione, magro bottino se paragonato alle aspettative di pochi giorni fa. Mosca e la finalissima sono ormai lontane, ma Diavoli Rossi e Tre Leoni, per programmazione e cura dei settori giovanili dei club, lanciano già il guanto di sfida. Euro 2020 è il palcoscenico più vicino per un possibile riscatto: consacrerà le due deluse nel gotha del calcio internazionale?

Qui Bruxelles

La vittoria sul Brasile delle stelle sembrava potesse aprire un viatico di gloria mai raggiunto dalla nazionale belga. Nemmeno dalla generazione d’oro, quella del commissario tecnico Guy Thys e dell’asse Preud’homme-Clijsters-Scifo-Degryse. Arrivarono quarti a Mexico ’86, sconfitti in semifinale dai futuri campioni del mondo argentini (Maradona vinse da solo il match dell’Azteca) e nella “finalina” dalla Francia di Michel Platini. 32 anni dopo la storia si ripete. Non certamente lo scenario ideale in cui mettere a nudo tutte le qualità di una squadra che si è specchiata troppo, si è piaciuta a dismisura e si è risvegliata con un pugno di mosche in mano. Una gara anonima, quella con la Francia in semifinale. Troppo remissivi, troppo rinunciatari i belgi per pensare di poter abbattere il muro transalpino. Il Belgio che ha piegato il talento della nazionale verdeoro doveva e poteva elevarsi più di quanto la sconfitta con Mbappé e compagni non dica. La squadra di Roberto Martinez è mancata nei suoi uomini chiave: Axel Witsel, straripante con Neymar e compagni ma abulico con il sodalizio di Didier Deschamps; Romeu Lukaku è passato dal dare sportellate ai vari Thiago Silva e Miranda, a prenderle da Varane e Umtiti. Dries Mertens non pervenuto così come Eden Hazard e Kevin De Bruyne: troppa emozione e troppa pressione possono giocare brutti scherzi. Ma non si può certo parlare di fallimento: il Belgio è squadra esperta, ricca di giocatori con curriculum di altissimo livello. Serve mettere esperienza in cascina per farsi trovare pronti negli appuntamenti che contano. Per non correre il rischio di essere etichettata come eterna incompiuta.

 

Qui Londra

C’è una signora, di Cambridge, con i capelli bianchi e un bastone che sorregge, oltre il peso degli anni, le sue innumerevoli delusioni. Le sue rughe altro non sono se non i segni tangibili di una storia fatta di molti punti alti ma anche di fallimenti cocenti. Eppure lei, con testardaggine tipica da anziana made in Uk, è convinta che tutto ciò che luccica sia oro. Anche il suo sogno proibito. Lo ha visto con i suoi occhi, a Mosca. Lo sogna da ben 52 anni. Avrebbe fatto di tutto pur di raggiungerlo, anche comprarsi una scala per il paradiso. Lei sa che, prima o poi, ci arriverà fin lassù. La scala per il paradiso l’ha comprata e potrà ottenere quello per cui è venuta in Russia con una sola parola: football. Lei è l’Inghilterra. Ha raggiunto il penultimo gradino, faticando come suo solito. Eppure si è fermata a un passo dall’oro luccicante della Coppa del Mondo. La vetta della scala per il paradiso, la stessa cantata e suonata da Robert Plant e Jimmy Page nel 1971 sotto la bandiera dei Led Zeppelin, è stata raggiunta dalla freschezza e dalla gioventù croata che ora il luccichio della coppa lo scorge dai riflessi dello Stadio Luzhniki. Il Mondiale della gloria, quello del 1966, è solo un ricordo sbiadito. C’è da metabolizzare la sconfitta subita contro Mario Mandzukic e Ivan Perisic. Eh no, non basterà una tazza di thé o una scatola di After Eight per addolcire l’umore. San Pietroburgo e la finale per il podio rappresentano solo il teatro di una delusione cocente. Il congedo da quello che poteva essere e non è stato. Immaginatevi Gareth Southgate, il C.T. dei Tre Leoni: doveva cancellare l’incubo del shoot out fallito a Euro 1996, nella semifinale di Wembley con la Germania. Solo l’alloro mondiale avrebbe sanato definitivamente una ferita di un insuccesso che riecheggia ancora oggi nelle stanze della Football Association. Non è accaduto ma si guarda avanti, con ottimismo. Il futuro sorride ai britannici: il materiale tecnico a disposizione del selezionatore originario di Watford è di primo ordine e la scalata verso Euro 2020 è meno ripida di quanto si possa pensare.

 

Il Mondiale russo ci ha lasciato in eredità una squadra tutta grinta e muscoli. Dai riflessi di Jack Butland (che ben ha assorbito il dramma sportivo della retrocessione del suo Stoke City in EFL Championship) al muro difensivo composto da John Stones e Harry Maguire. A centrocampo Dele Alli ha confermato la sua nomea di giocatore di fama internazionale mentre ha sorpreso in positivo Eric Dier, factotum del Tottenham. E davanti? Harry Kane, l’uragano, probabilmente vincerà la classifica marcatori ma giuriamo l’avrebbe scambiata con ben altro. Raheem Sterling, il cui contributo al Mondiale russo è stato all’insegna della discontinuità, sarà il crack annunciato all’inedito Mondiale qatariota del 2022 così come il suo dirimpettaio in quel di Manchester, Marcus Rashford, pronto a deliziare l’esigente platea dell’Old Trafford.

La “finalina”, come viene ribattezzata dagli addetti ai lavori, non trasformerà in alcun modo in realtà speranze e sogni del duo Belgio-Inghilterra. La soluzione, però, è solo una: sta nel celebre brano del 1996 degli Oasis, “Don’t look back in anger“. Guardarsi indietro con rabbia è deleterio per la programmazione di due nazionali dal sicuro avvenire. Rinnovare le ambizioni e alzare l’asticella è la strada da percorrere. Per compiere l’ultimo passo nella scalata verso il paradiso.

 

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Pubblicato da Alessandro Fracassi

Nato in quel di Sassari nel 1992, cresciuto nel segno della leadership, del temperamento e della passione per i tackle del Guv'nor Paul Ince. Aspirante giornalista sportivo, studio giornalismo all'Università "La Sapienza" di Roma. Calcio e Basket le linee guida dell'amore incondizionato verso lo sport, ossessionato dagli amarcord, dal vintage e dai Guerin Sportivo d'annata, vivo anche di musica rock e dei film di Cronenberg. Citazione preferita: "en mi barrio aprendí a no perder".