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Bentornata a casa Italia. Bentornata nel palcoscenico che ti compete: l’Europa, quella dei grandi. La pallacanestro nostrana risorge come la fenice, dalle proprie ceneri. Non sarà la vecchia Coppa dei Campioni, non avrà lo stesso fascino delle defunte Coppa Korac e Saporta.
Il ritorno dell’Italia nella pallacanestro che conta: arriva la finale della FIBA Europe Cup
La stagione corrente ha ridato lustro all’Italia cestistica, protagonista con la semifinale della Grissin Bon Reggio Emilia in Eurocup e, soprattutto, con l’ultimo atto tutto tricolore della giovanissima quarta competizione continentale per club, la FIBA Europe Cup. Venezia-Avellino, uno scontro fratricida non inedito a livello continentale. Che sia la svolta per il movimento cestistico italiano, dopo anni di vacche magre?
Palcoscenici e retroscena: come eravamo
“The Presentation of Self in Everyday Life”, tradotto in “La vita quotidiana come rappresentazione” è il saggio del 1959 con il quale Erving Goffman, sociologo canadese, sembra quasi prevedere quello che sarà nel giro dei successivi anni il futuro della pallacanestro italiana in Europa, mettendo in secondo piano l’analisi della realtà sociale in cui è immerso. Una realtà sociale a metà tra palcoscenico e retroscena, concetti chiave del pensiero goffmaniano. Uno sport, la pallacanestro tricolore, anch’esso a metà tra palcoscenico e retroscena.
Dal domino incontrastato delle grandi d’Italia in Europa per tutta la seconda parte del Novecento – protagoniste di match epici sotto i riflettori della gloria – fino all’anonimato delle big nostrane del Terzo Millennio. Un’uscita di scena figlia di un dominio calcistico incontrastabile a livello economico e mediatico e di una Federazione incapace di gestire con giudizio situazioni spinose quali il fallimento di piazze storiche come Caserta o Reggio Calabria.
Protagonista indiscussa del retroscena di Goffman è però la Virtus Roma, campione d’Europa 1984: i capitolini, abituali frequentatori dei salotti continentali, ora annaspano nelle sabbie mobili della A2, cercando di salvare faccia e storia. Le basi da cui ripartire però ci sono tutte: la costante crescita di club che vivono di programmazione societaria (La Reggiana della gestione Menetti o la stessa Reyer Venezia scudettata dopo i fasti degli anni ‘40) e altri che si affacciano all’Europa con la giusta sfrontatezza (Trento, nel 2016, sfiorò una clamorosa finale di Eurocup da debuttante).
Reyer e Scandone: tra rivincite e prime volte
L’unico incrocio europeo tra le due finaliste risale alla scorsa stagione in Champions League. Era il Round of 16: Venezia ebbe la meglio sul quintetto di coach Sacripanti, aggiudicandosi match e qualificazione con un doppio +4 tra l’andata al Taliercio e il retour match al Pala Del Mauro. I lagunari riuscirono nell’impresa di raggiungere le Final Four della competizione, estromessi solo dal travolgente – e vincitore – Gran Canaria padrone di casa.
Se per la Scandone Avellino gli ottavi di finale della Champions League della scorsa stagione hanno rappresentato il punto più alto della storia europea irpina, Venezia d’altra parte arriva all’atto conclusivo della Europe Cup con un background continentale di assoluto valore. L’epopea lagunare in Europa raggiunse l’apice a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Nel 1976/77 l’allora Canon Reyer, affacciatasi per la prima volta sul balcone continentale raggiunse i quarti di finale della Coppa Korac. Alle semifinali dell’allora format della competizione accedevano solo le vincitrici di quattro gironi, composti da quattro squadre che si affrontavano in gare di andata e ritorno. La Canon concluse la sua avventura dietro alla Jugoplastika di Spalato di coach Petar Skansi (artefice del primo scudetto della Benetton Treviso del 1992) e di due giocatori di discreto avvenire: Vinny Del Negro in cabina di regia e Toni Kukoc letale con le conclusioni dalla distanza. Do you know them?
4 anni dopo la Reyer, sponsorizzata Carrera, riscrisse la storia del basket italiano con una cavalcata fino alla finalissima della Korac. Superato l’ostacolo Jugoplastika – ancora una volta – alle semifinali la Dinamo Mosca non potè opporre resistenza all’inferno del PalaArsenale e all’incontenibile supremazia del quintetto di coach Zorzi. Il 19 marzo 1981, al Palau Blaugrana di Barcellona, la Reyer si giocò l’Europa con la Joventut de Badalona. Drazen Dalipagic & co. dilapidarono un vantaggio di 8 lunghezze a 2’ dalla fine per poi essere raggiunti dal sodalizio iberico. All’overtime, il tap-in di Gonzalo Sagi-Vela e l’errore di Fabrizio Della Fiori sulla sirena consegnarono alla storia la più grande delusione continentale dei veneti. La finale di Europe Cup è per la Reyer l’appuntamento da non lasciarsi sfuggire, con la storia e con la cabala.
Philips-Virtus, l’ultimo affaire italiano in Europa
Primavera 1993. Nelle radio risuona in loop “Gli spari sopra” di Vasco Rossi, mentre la politica è scossa dal marasma di Tangentopoli. Se nel calcio l’Inter di Osvaldo Bagnoli e il Milan di Fabio Capello sgomitano per lo scudetto, anche nel basket Milano domina la scena: la Philips di Mike D’Antoni chiuse il ciclo vincente con lo storico sponsor olandese mettendo le mani sulla Coppa Korac.
Dopo aver estromesso in semifinale la Clear Cantù di Fabrizio Frates, i meneghini affrontarono la Virtus Roma dell’ex coach Franco Casalini, il direttore d’orchestra dell’ultima Coppa dei Campioni targata Olimpia a Gand sul Maccabi Tel Aviv. I milanesi vinsero all’andata al PalaEur per poi mettere la classica ciliegina sulla torta nel match di ritorno ad Assago. Milano-Roma è, a oggi, l’ultimo incrocio in una finale europea tra squadre italiane. Un quarto di secolo: tanta è stata l’attesa per riportare una coppa continentale in Italia. Venezia e Avellino, ora tocca a voi. Il palcoscenico europeo ci ha riportati alla ribalta. Stasera inizia l’atto conclusivo della FIBA Europe Cup.
Le foto sono state prese dal sito ufficiale della Reyer Venezia e da Wikipedia.