Bologna formato continentale: Kinder campione d’Europa 1998

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“Chissà, chissà domani, su cosa metteremo le mani…”. Il singolo “Futura” di Lucio Dalla riporta alla mente quella che, non troppi decenni fa, si identificava come l’anima della pallacanestro italiana. Era Basket-City: Bologna, quella Bologna, viveva di emozioni. Di emozioni scandite nel tempo e impresse nella memoria. Quello stesso tessuto urbano, abituato a dominare nel basket, viveva proiettato nel futuro e negli sguardi profondi di chi voleva protrarsi verso orizzonti floridi. Viveva nel segno della Virtus.

Non ce ne voglia la Fortitudo, la cui storia e trasporto emotivo non sono certamente da meno, ma la Bologna bianconera visse, negli anni ‘90, il picco massimo della sua storia. Un connubio città-squadra culminato con l’atteso trionfo in Europa, il primo. L’Occhio Sportivo vi porta tra le gradinate del PalaMalaguti, anni di grazia 1997 e il 1998, fedele testimone delle imprese dell’allora Kinder. Quando l’Eurolega sbarcò all’ombra della Torre degli Asinelli.

Campagna di rafforzamento faraonica: Danilovic e Messina tornano a Bologna

La stagione 1996/1997, anonima per la Virtus, diede ai bianconeri un’unica ed esigua gioia: la vittoria in Coppa Italia su Cantù del patron Polti (la quinta della storia bianconera). Lo scudetto prese la via di Treviso e il sogno Eurolega durò troppo poco per una squadra con consolidate ambizioni europee. Alfredo Cazzola non badò a spese e nell’estate del 1997 fece svoltare aspirazioni e sogni bianconeri. La prima imponente scelta del rinnovato progetto di rilancio bianconero partì dalla guida tecnica: dopo 4 anni, Ettore Messina fece ritorno a Bologna. La fruttuosa esperienza con la nazionale azzurra e l’argento conquistato agli europei spagnoli (solo la corazzata jugoslava impedì l’oro) riconsegnò alla Virtus un tecnico con un’esperienza senza precedenti e un bagaglio tecnico di assoluto valore.

Fu un’estate di grandi ritorni. Non solo Messina: dopo 2 anni a girovagare tra Miami e Dallas, dispensando classe e talento, Pedrag “Lo Zar” Danilovic riabbracciò Bologna. Archiviata l’esperienza oltreoceano (mise a referto 10.000 punti in due anni), l’eco mediatico del ritorno di “Sasha” nell’universo bianconero fu incredibile: più di 6.000 furono gli abbonati virtussini al PalaMalaguti. Nemmeno l’effetto-Baggio passato al Bologna, nel calcio, distolse le attenzioni della città dalla palla a spicchi. I sogni iniziavano a prendere forma.

Una corazzata, tra conferme e riscatti

A completare una campagna acquisti fenomenale furono il play Antoine Rigaudeau, giustiziere della Buckler in Euroclub con la maglia del Pau Orthez e la guardia Hugo Sconochini dal Panathinaikos con un passato di rilievo in Italia. L’ala grande Alessandro Frosini ebbe invece un compito arduo: adattarsi all’ambiente virtussino dopo l’esperienza triennale alla Fortitudo. Un roster di primissimo livello che prevedeva, tra gli altri, giocatori di fama internazionale come Zoran Savic (in ombra nella prima stagione italiana) e Radoslav Nesterovic. Il blocco italiano era invece formato da Alessandro “Picchio” Abbio (guardia), la giovane promessa Enrico Ravaglia (play) e il capitano Augusto Binelli a dominare sotto le plance, forte dei suoi 211 cm di altezza.

La marcia trionfale della Kinder in Eurolega

Con un roster di prim’ordine e un allenatore di fama europea e mondiale, partì nel settembre del 1997 la caccia della Kinder Bologna alla sua prima coppa dei campioni. Il primo turno consegnò la Virtus al girone A. Sorteggio non complicato sulla carta, ma da affrontare con la giusta concentrazione per chi partiva con i favori del pronostico. Oltre alle più quotate Barcellona, Partizan Belgrado e Pau Orthez, il girone comprendeva i modesti israeliani dell’Hapoel Gerusalemme e l’Ulkerspor Istanbul. Dopo il debutto con vittoria nella gara d’esordio in Israele, la Virtus subì lo sgambetto casalingo dai francesi dell’Orthez. Una sconfitta pesante tra le mura amiche del Futurshow Station di Casalecchio di Reno. La squadra soffriva l’aggressività a rimbalzo degli avversari, discriminante fondamentale per uscire indenni dalle battaglie agonistiche continentali.

La débacle sarà però un toccasana decisivo per la stagione virtussina: da quel momento la Kinder acquisì consapevolezza dei propri mezzi, oliando meccanismi e automatismi di squadra. Fu la svolta: già alla terza giornata, a Barcellona, un Palau Blaugrana gremito assistette alla prova di forza bianconera. Nonostante uno Zar a mezzo servizio, furono Abbio e soprattutto un ritrovato Savic (30 punti in 2) a guidare la Kinder verso il primato del girone. La Virtus versione Attila ribaltò una dopo l’altra le altre avversarie del girone. La conferma definitiva dello strapotere bianconero arrivò a Belgrado, con il Partizan: 74-49, con una prova sontuosa di Antoine Rigaudeau. Se il “Mozart di Cholet” disegnava pallacanestro, Danilovic e Savic spezzavano ogni flebile speranza avversaria: il primo posto nel girone fu pura formalità.

Seconda fase e ottavi: Kinder dominante

La seconda fase a gironi non mutò in alcun modo lo strapotere della Kinder oltre i confini nazionali. Di fronte, nel gruppo G, i francesi del Psg Racing, i tedeschi dell’Alba Berlino e gli ostici sloveni dell’Olimpija Lubiana. Nel debutto a Parigi, il Racing mise in difficoltà il quintetto bolognese con un match tutta corsa e muscoli. Ma la classe della Kinder e le giocate decisive di Danilovic fecero ancora la differenza. Il cammino verso gli ottavi procedette spedito: vittoria a Lubiana con Savic high scorer (25 punti), spettacolo con l’Alba Berlino a Casalecchio. Tedeschi schiantati dalla premiata ditta Sconochini-Savic: tagli, transizioni rapide, assist al bacio, stoppate da brivido. Sicuri che tutto questo fosse legale?

Ottavi di finale: gara-1. L’Estudiantes Madrid chiese strada alla Kinder, invano. L’onda d’urto bianconera si scatenò negli ultimi 10’ di gioco sotto i colpi di Sconochini, Abbio e Danilovic decisi a rompere un equilibrio durato fin troppo. Gara-2 a Madrid fu già decisiva: Rigaudeau cuciva, Danilovic ricamava. Hasta luego, Madrid. Quarto di finale in tasca. Tra la Kinder e la Final Four di Barcellona, la madre di tutte le partite: il derby di Bologna. La Teamsystem. Carlton Myers.

Duello all’ultimo sangue

“Della Coppa Italia non me ne può fregar di meno”. Furono le parole al miele di Danilovic all’indomani della sconfitta (una delle poche in quella stagione) della Kinder nella semifinale di Coppa Italia con la Teamsystem. Le dichiarazioni al veleno, infuocarono una vigilia oltremodo bollente. Basket-City mise in mostra il meglio che la pallacanestro poteva offrire. Stavolta oltre i confini nazionali. Ci si giocava la storia, le Final Four, l’Europa. Kinder con il fattore campo e al meglio delle 3 partite.

Gara-1. Casalecchio di Reno. La Virtus aggredì il match fin dalle battute iniziali, pur soffrendo le individualità della Fortitudo (Myers e Fucka su tutti). Savic nei primi 20’ e Sconochini con un secondo tempo da urlo, consegnarono alla Virtus la prima battaglia. Ma il primo derby europeo fu cavalleria rusticana. Gregor Fucka e Carlton Myers da una parte, Danilovic dall’altra. Vecchie ruggini, duelli di verghiana memoria a scomodare letteratura positivista e pellicole da Far West. A farne le spese fu la Teamsystem, priva per gara 2 dei suoi terminali offensivi squalificati dalla Fiba e con un Dominique Wilkins acciaccato. Anche la Virtus non poté sorridere: out Abbio ma soprattutto Zoran Savic.

Apoteosi Kinder, baratro Fortitudo

Al PalaDozza, fu Fortitudo d’assalto. Biancoblu con il sangue agli occhi, Virtus alle corde. La svolta del match si ebbe nel secondo periodo: la Kinder, pur sulle ginocchia, alzò l’intensità difensiva. La Teamsystem replicò con un Dominique Wilkins non al meglio fisicamente ma in stato di grazia. Ultimi 5’ del match: Danilovic, con una tripla delle sue, riportò a un solo punto la Kinder. Messina, abile stratega, pescò il jolly che spaccò in due il match. Il playmaker Claudio Crippa, prelevato pochi mesi prima da Pistoia, aprì alla Kinder le porte del paradiso. Il giovanotto (la carta d’identità recitava 36 primavere) servì a Danilovic l’assist del provvisorio +3 e con un 1/2 dalla lunetta pesante come un macigno, avviò le operazioni di check-in dei suoi verso la Catalogna, con Barcellona e la coppa dei campioni sullo sfondo.

L’invasione bianconera in Catalogna

Barcellona. 21 aprile 1998. La semifinale. Il destino mise, ancora una volta, il Partizan Belgrado lungo la strada della Kinder. I bianconeri slavi erano squadra solida e tenace ma poca cosa davanti alla Kinder. Danilovic, pur con qualche acciacco fisico, scavò il solco già a metà gara (45-25). La Virtus amministrò il vantaggio quasi con facilità irrisoria, complice anche il ruolo chiave dei lunghi bianconeri. Nesterovic e Savic (37 punti in 2) dominarono nelle doppie fasi di gioco e a rimbalzo. L’83 a 61 finale diede l’impressione di un match e una competizione impari. Virtus devastante. L’ultimo ostacolo fu l’Aek Atene di coach Ioannidis e del fuoriclasse spagnolo José Lasa. Un ultimo, decisivo passo verso la gloria.

Il trionfo: la coppa dei campioni fece ritorno in Italia

Atmosfera magica, colpo d’occhio da urlo: il Palau Sant Jordi era un inferno, assediato da oltre 10.000 anime bianconere. In un ambiente sconsigliato ai deboli di cuore, furono le difese a dominare la scena. La Kinder mise comunque il turbo chiudendo la prima frazione sul 28-20. Un punteggio bassissimo che testimoniò la tenacia delle due compagini. Nei secondi 20’ di gioco, la Kinder amministrò il vantaggio con Sconochini e Danilovic toccando addirittura il +11 (40-29 al 30’). Quando ormai il destino era scritto, i greci ritornarono prepotentemente in corsa con Lasa. A 2’ dalla sirena la Virtus ebbe appena 5 punti di vantaggio, con l’inerzia tutta nelle mani degli ellenici. Danilovic riportò i suoi a distanza di sicurezza con un appoggio a canestro per il +7 Kinder.

Mancavano 1’45”. L’urlo “Kinder, Kinder” rimbombava a Montjuic e viaggiava dalla Spagna fino a Bologna in un susseguirsi di emozioni. Sconochini mantenne il possesso e con la coda dell’occhio vide Savic smarcato e fuori dal pitturato. I presenti sgranarono gli occhi, Savic lasciò partire la conclusione dalla distanza. Decimi di secondo. La traiettoria concluse la sua corsa gonfiando la retina, scatenando il delirio. “Bomba, bomba di Zoran Savic!” fu l’inno al trionfo di Flavio Tranquillo dai mircofoni di Telepiù. Le istantanee che rimangono tutt’ora nella memoria virtussina sono almeno due: l’inchino di Danilovic al tifo bianconero dopo l’alzata di coppa e le oltre 5.000 persone che accolsero, all’aeroporto Marconi alle 4 del mattino, i neo-campioni d’Europa. Perché il basket, a Bologna, è something different. Something special.

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Pubblicato da Alessandro Fracassi

Nato in quel di Sassari nel 1992, cresciuto nel segno della leadership, del temperamento e della passione per i tackle del Guv'nor Paul Ince. Aspirante giornalista sportivo, studio giornalismo all'Università "La Sapienza" di Roma. Calcio e Basket le linee guida dell'amore incondizionato verso lo sport, ossessionato dagli amarcord, dal vintage e dai Guerin Sportivo d'annata, vivo anche di musica rock e dei film di Cronenberg. Citazione preferita: "en mi barrio aprendí a no perder".