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Stasera alle ore 21 italiane si giocherà la finale di ritorno della Copa Libertadores, il Superclasico: River Plate – Boca Juniors. Il pareggio per 2-2 della Bombonera ha rimandato tutto all’ultimo atto di questo torneo. Il Monumental sarà teatro di quella che viene definita: La Partita del Secolo.
Che vuol dire Superclasico?
Una domanda a cui non vogliamo rispondere. Non c’è risposta. Gli Argentini dicono che per spiegare il Superclasico le parole non basteranno mai, bisogna essere nati lì viverlo ogni giorno nelle strade, per i bar, a scuola o al lavoro. Uno stile di vita che invade la quotidianità. Non una guerriglia urbana, ma una naturale e logica rivalità che convive e collide ogni giorno. Inevitabilmente il suo esito cambierà le giornate di tanti tifosi che lo vedono come un duello western: chi perde rimarrà steso per terra, a bocca aperta, con una ferita nel cuore così grande che non si potrà mai ricucire. Sogno proibito da una parte, incubo dall’altra.
Si è giocato appena un tempo del più grande spettacolo che sabato promette di essere Big Bang. La partita più grande di tutti, la più grande immaginabile. Perché in mezzo a un fiume di parole, persone, credi e sentimenti una cosa va chiarita immediatamente: a Buenos Aires il superclasico non è solo calcio. È atomo, materie, corpi, nervi, cuori. Perché il superclasico in Argentina è così importante? Perché è vita.
Essere Boca
La mitad mas uno. La metà più uno. Quelli del Boca ne sono convinti da sempre: siamo la squadra più tifata d’Argentina. «Somos el pueblo y el carnaval», siamo il popolo e il carnevale, cantano quelli della Doce, la pazzesca curva della Boca. Sono andati in 60 mila alla rifinitura di ieri e il loro tifo fa letteralmente battere la Bombonera. Si dice siano il 40 per cento del Paese. Forse, chissà. Una statistica seria non c’è, però è plausibile. Perché è vero che nella mistica della Republica de la Boca, in questa misteriosa magia che mescola orgoglio proletario e identità porteña, gran parte del Paese si rivede.
Come quelli del River, anche qui ci sono due soprannomi. Il primo, quello per così dire ufficiale, è xeneizes, da una translitterazione castellano-argentina del termine «zeneize», genovese. Sta scritto anche dentro il colletto della maglia da gioco azul y oro. Il club l’hanno fondato nel 1905 i genovesi che a inizio Novecento erano la comunità più numerosa del quartiere portuale della Boca. Scelsero i colori sociali dalla prima nave che entrò in porto: svedese, quindi giallo e blu.
Essere River
Sta tutto nel nome, Millonarios. Sofisticati, distinti, europei, aristocratici. Quelli che sono andati a scuola, quelli che hanno fatto il liceo, quelli che prendono l’aperitivo a Puerto Madero, che degustano un vaso di Malbec insieme al bife de lomo. River sono i quartieri a nord, le jacaranda di Recoleta, gli immensi parchi di Palermo dove chi ci abita s’accorge meno che il Paese è alle prese con la tragica quinta crisi valutaria in 50 anni, River sono gli eleganti caffè di Villa Crespo che ricordano l’aristocratica Parigi, i viali di Núñez dove adesso c’è lo stadio. Anche lì il nome dice tutto: dal 1986 è intitolato all’ex presidente Antonio Vespucio Liberti, per tutti però è il Monumental e basta, che sa di grande, di perfetto, di eroico, conservatore.
La partita di andata
IL 2-2 della Bombonera ha offerto molti spunti. Tatticamente il River ha controllato la partita con un gioco più solido, più Europeo. Il Boca invece si è affidata ai nervi, alla voglia e all’istinto. L’atmosfera è stata straordinaria. Dopo lo slittamento di un giorno a causa di una pioggia mistica, il Superclasico ha subito ripagato le attese. Un primo tempo scoppiettante che si chiude sul 2-1. Al sinistro di Wanchope ha risposto il destro di Pratto. Nel secondo minuto di recupero il gol del pipa Benedetto (subentrato a Pavon al 25esimo) ha riportato di nuovo avanti gli Xenezies. Nonostante la situazione di svantaggio il River ha continuato a condurre la partita con grande maturità. Al 61’ da calcio piazzato è arrivato il gol del definitivo 2-2, un autogol di Iziquierdoz. Il pareggio rimanda tutto alla sfida del Monumental.
La resa dei conti
Alla Bombonera è stato un grandissimo spettacolo. Una partita memorabile che però non verrà mai ricordata quanto quella di questa sera. I giocatori di Gallardo cercheranno di giocare il loro calcio. Fatto di possesso palla, solidità difensiva e una grande razionalità all’interno del campo. Il Boca invece si affiderà ai suoi talenti e alla leadership di gente come Benedetto, Barrios e Tevez. La differenza la farà la condizione mentale dei giocatori. La lucidità di mettere in campo i propri principi di gioco e la forza di osare e di rischiare qualcosina in più dell’avversario. Inoltre giocare in casa una partita del genere è un fardello pesantissimo con cui convivere e storicamente un’arma a doppio taglio. Chiedere a Roma e Bayern in finale di Champions League.
Sarà una guerra sportiva e l’esito sarà finale, da domenica la storia del calcio argentino e sudamericano cambierà per sempre. Nessun passo indietro potrà essere fatto. Non solo perché la finale di Libertadores diventerà a gara unica dal prossimo anno. Ma Specialmente perché domani sarà o Boca o River. Un out out spietato e senza precedenti a livello sportivo. Sarà atroce e brutale da un lato, paradisiaco e immortale dall’altro. Sarà la resa dei conti. La finale del Secolo.