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Il trionfo del Chelsea in Champions League e l’inaspettata sorpresa giunta dalla Polonia con il primo acuto continentale del Villarreal in Europa League, rappresentano le più nitide e piacevoli istantanee della stagione di coppe europee nata sotto la cattiva stella della pandemia e proseguita con lo spauracchio Superlega.
Questione di volontà
“C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà“. Citiamo, e scomodiamo, Albert Einstein per sottolineare l’importanza della volontà nel sport e, più marcatamente, nel calcio e nelle coppe europee. Volontà è desiderio, passione, concentrazione. Volontà è anche resilienza, concetto il cui sinonimo non può che collimare con l’idea di sport, declinata alla vita quotidiana, del Submarino amarillo.
Il trionfo del Villarreal in Europa League è un inno alla semplicità, all’abnegazione e alla progettualità sportiva: una cittadina di 50mila abitanti, a poco più di 60 km da Valencia, mette alle strette il Manchester United, colora Gdańsk di giallo e si regala una notte da sogno.
Undici metri: il confine tra oblio e trionfo
Nell’aprile del 2006 il sogno della finale di Champions League si era fermato, bruscamente, agli undici metri: l’errore di Juan Román Riquelme negli istanti finali della sfida di ritorno con l’Arsenal seppe tanto di occasione persa. Mai però scherzare col destino: 15 anni dopo, Villarreal e Arsenal si ritrovano ancora in semifinale. Tra le tribune del Estadio de la Cerámica serpeggia un nuovo scivolone.
L’occasione della rivincita è però più forte di qualsiasi avversità. La finale non è più utopia ma realtà sensibile, i calci di rigore sono invece l’anticamera del paradiso sportivo. Lo United soccombe: Davide ha battuto Golia. Alla faccia del cervellotico elitarismo targato Superlega: ben vengano nuove versioni del Villarreal nel futuro delle coppe europee. Che si chiamino Sampdoria, Parma, Leicester, Union Berlino o Rennes poco importa. Parafrasando David Bowie, “they can be heroes, just for one day”.
Uefa Emery League
Il miracolo Villarreal mette in mostra un’impronta inconfondibile: è Unai Emery il deus ex machina di un’affermazione che sorprende ma fino a un certo punto: Mister Europa League (o, se preferite, Señor Europa League) mette la freccia e supera un totem del calcio mondiale come Giovanni Trapattoni: sono infatti quattro i successi nella personalissima bacheca del tecnico basco nella seconda competizione continentale per club (tre allori con il Siviglia più il fresco trionfo polacco con il Villarreal). La vittoria con il Submarino amarillo ha un sapore di autentica rivincita, se rapportata alle ultime – e poco fortunate – esperienze di Emery in giro per il Vecchio Continente.
Tenta il grande salto a Parigi con il Saint Germain ma la sua esperienza in Francia è segnata dall’incredibile rimonta subita agli ottavi di finale di Champions League del 2017: dopo aver battuto 4-0 il Barcellona al Parco dei Principi, perde clamorosamente partita e qualificazione con il 6-1 al Camp Nou. L’approdo a Londra, sponda Arsenal, è ancora più traumatico: raccolta la pesantissima eredità di Arsene Wenger, chiude al quinto posto in Premier League e viene sconfitto 4-1 in finale di Europa League dal Chelsea di Maurizio Sarri. Un risultato mediocre culminato con l’esonero, dopo tredici partite di campionato, nella stagione successiva.
Oltre le più rosee aspettative
Messosi in discussione, Emery riparte dal Villarreal che nella sua storia ha vinto solo due coppe Intertoto (nel 2003 e 2004) e scommette su un gruppo di giocatori operai votati al servizio del collettivo: dai prodotti locali Pau Torres e Mario Gaspar al killer instinct di Paco Alcácer; dal talento finalmente sbocciato di Gerard Moreno all’esperienza e attitudine a notti da win or die come Carlos Bacca, Vicente Iborra e Raúl Albiol.
L’obiettivo stagionale del Villarreal è riconfermarsi in Europa: nonostante il settimo posto in Liga, il trionfo di Gdańsk apre le porte al primo trofeo europeo degli spagnoli nelle coppe europee. Ma non è tutto: il successo in Europa League dà al Submarino la possibilità di giocarsi la Supercoppa europea ad agosto con il Chelsea a cui si somma una nuova, storica, qualificazione alla Champions League. Un All in senza precedenti.
La rivincita di Tuchel: il Chelsea è campione d’Europa
Se Emery sorride, Thomas Tuchel esulta senza freni. Il 26 gennaio scorso, data del suo insediamento a Londra, era impossibile solo pensare all’epilogo della magica serata inscenata ieri sera al do Dragão. Il secondo successo dei Blues in Champions League è frutto di un processo di crescita imponente, culminato nel giro di pochi mesi e contro ogni più rosea aspettativa. Il tecnico tedesco era stato esonerato a Natale dal Psg che aveva portato alla finale di Champions League dello scorso agosto, poi persa a Lisbona con il Bayern Monaco. Dal Da Luz al do Dragão: il Portogallo toglie, il Portogallo restituisce.
Il merito di Tuchel è proprio quello di aver dato alla sua squadra una così chiara identità in così poco tempo: sodalizio granitico in difesa con le saracinesche Thiago Silva-Rüdiger, N’Golo Kanté e Jorginho a dettare i tempi dell’orchestra e attacco privo di punti di riferimento con i vari Havertz, Werner e Mount a svariare sul fronte offensivo. Un successo per il quale Tuchel, da gran signore qual è, ha menzionato anche il suo predecessore, Frank Lampard: “Non saremmo qui senza il suo lavoro”.
La caduta del re Guardiola
Se nel West London esultano per un trionfo inaspettato, a Manchester sponda City è tempo di riflessioni. La Premier League appena conquistata, la settima della storia dei Citizens, rappresenta un ottimo risultato se viene analizzata complessivamente la stagione appena conclusa. Una torta squisita al netto degli ingredienti utilizzati alla quale però è mancata solo la ciliegina europea. Una quasi maledizione per Pep Guardiola al quale il successo in Champions League manca ormai dal lontano 2011.
Una sconfitta, quella del City, figlia di un primo tempo confusionario, nel quale Tuchel ha saputo incartare Pep, tradito dai suoi uomini migliori: la giornata no di Mahrez e Sterling, l’infortunio di Kevin De Bruyne e la mancata copertura di Zinchenko sulla verticalizzazione di Mason Mount che ha deciso la partita. Un errore, quello del nazionale ucraino, che avrà tolto il sonno a Guardiola che si è preso la scena con il bacio alla medaglia da secondo classificato. Un chiaro messaggio a vincitori e vinti: è dalle sconfitte più cocenti che si creano i presupposti per i grandi successi. Quanto a sportività, Pep continua a dare lezioni a tutti.