A ritmo di impresa: la top 3 delle miracolose salvezze in Serie A

approfondimento su salvezza

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È un miracolo ciò di cui abbiamo bisogno. Il miracolo, il miracolo che tutti aspettiamo oggi“. The Miracle, singolo e omonimo album dei Queen del 1989, denota un significato profondo nel suo intrinseco legame con l’universo sportivo. Se “We are the champions” è, convenzionalmente, l’inno del trionfo nello sport, il miracolo cadenzato e auspicato dalla celestiale voce di Freddy Mercury si adatta a imprese sportive di variegata natura. Ribaltare un risultato quando i titoli di coda ormai sentenziano una sconfitta o raggiungere una salvezza quando la retrocessione nel campionato inferiore si configura come realtà difficile da accettare.

Il calcio italiano, come di consueto, è sport che si nutre di storytelling in salsa epica: un’impostazione narrativa che può scindersi nel racconto tanto di una vittoria di uno scudetto quanto di una salvezza nella massima serie raggiunta sul filo di lana o a coronamento di una scalata in classifica non certamente preventivata. Senza scomodare le imprese omeriche l’Occhio Sportivo ripercorre, tra le pagine di storia ingiallite o di recente stampa, la top 3 delle salvezze miracolose in Serie A raccontate attraverso altrettante colonne sonore: perché confermare la categoria “vale quanto vincere uno scudetto“, parole e musica di Ottavio Bianchi

Como 1984/1985: massimo risultato, minimo sforzo

Dopo tre stagioni in cadetteria, i lariani tornano in Serie A nel 1984. L’artefice della promozione, il tecnico Tarcisio Burgnich, saluta le sponde del lago comasco preferendogli il lungomare Pegli e la Genova rossoblu. La conduzione tecnica della squadra è affidata a Ottavio Bianchi, esperto in salvezze: l’ultima, raggiunta ad Avellino, ha riempito le pagine dei quotidiani sportivi di tutta Italia. I miracoli del tecnico bresciano si trasferiscono dal “Partenio” al “Sinigallia” di Como. Le premesse per raggiungere l’agognata salvezza sembrano esserci tutte, almeno dal punto di vista tecnico: Giuliano Giuliani tra i pali, coadiuvato da Enrico Annoni e Pasquale Bruno che, nel pacchetto arretrato, assicurano il giusto equilibrio tra compattezza e carattere; le geometrie a centrocampo di Hansi Muller – prelevato dall’Inter e reduce da screzi all’ordine del giorno con l’icona nerazzurra Evaristo Beccalossi – e Gianfranco Matteoli dettano i tempi della manovra comasca in un mix di qualità e fantasia. In attacco, Moreno Morbiducci è affiancato dal colpo di mercato del direttore Sandro Vitali: dallo Stoccarda arriva l’ariete svedese Dan Corneliusson.

La partenza è buona: due punti in altrettante gare con la Juventus di Platini campione d’Italia (pareggio a reti bianche a Como) e con la Roma reduce dalla prima e finora unica finale in Coppa dei Campioni (1-1 all’Olimpico, con il primo sigillo in Italia di Corneliusson). La squadra fa della compattezza difensiva il suo punto di forza e, al contempo, concretizza meno di quello che crea. L’andamento dei lariani è infatti double face: se in trasferta il Como raccoglie un solo successo (il prestigioso 2-0 di San Siro contro il Milan) è nel catino infernale del “Sinigallia” che Ottavio Bianchi costruisce l’impresa della salvezza. Il Como conclude imbattuto la stagione tra le mura amiche: un risultato clamoroso, un miracolo certificato da una ulteriore statistica che travalica i limiti del reale. Il Como edizione 1984/1985 conferma la categoria con sole 17 reti segnate, di cui tre autoreti a favore (per gentili concessioni di Udinese, Lazio e Torino). Un record di 14 gol all’attivo condiviso con il Lanerossi Vicenza che, nella stagione 1972/73, fece registrare il misero bottino di 15 reti segnate con un solo autogol a favore. Una stagione completamente ribaltata: da una morte annunciata a un happy ending da “vivi e vegeti“, titolo del singolo dei Simple Minds (“Alive and Kicking“) successo mondiale del 1985.

Cagliari 1990/1991: la forza del collettivo e gli albori della Garra Charrúa

In Serie A è tutta musica, o suoni o te le suonano”. Con queste dichiarazioni a Sandro Ciotti, Claudio Ranieri mette in guardia il suo Cagliari neopromosso in Serie A nel 1990. E’ l’estate delle Notti Magiche del mondiale nostrano, della nazionale inglese che disputa a Cagliari le gare del girone F, della furia hooligan tenuta a bada dalla tigna sarda. E’ soprattutto l’estate del Cagliari che compie, nel giro di due anni, il doppio salto: dalla Serie C1 all’élite pallonara tricolore. Un’impresa scolpita nella storia dal duo Ranieri-Longo. Il direttore sportivo rossoblu completa una squadra già valida che annovera tra le proprie fila giocatori quali Matteoli, tornato in Sardegna dopo i trionfi all’Inter; Firicano e Festa in difesa; Cappioli in mediana e Fabrizio Provitali davanti.

Completare la rosa è il diktat della dirigenza. La rosa necessita di carattere, di intensità e proprio in una notte di mezza estate Cagliari si lega indissolubilmente alla Garra Charrúa uruguayanauno stile di vita tipicamente sudamericano incentrato sulla capacità di lottare, sulla determinazione e dalle radici storico-sociologiche e antropologiche risalenti all’epoca dei Charruas precolombiani che difendevano le proprie terre con le unghie (Garra, l’artiglio) e con i denti. Sono tre i profili che incarnano lo spirito di battaglia richiesto da Ranieri: José Oscar Herrera, reduce da un ottimo mondiale con la camiseta della Celeste; Daniel Fonseca, giovane di belle speranze e soprattutto uno dei giocatori più talentuosi e di cui è facile esercizio innamorarsi. Il suo nome è Enzo Francescoli, un concentrato di arte pallonara in cui si fondono le geometrie di Kandinskji, i tratti esotici di Gaughin e l’urto, l’impeto calcistico di matrice futurista. Un Príncipe al quale è richiesto l’arduo compito di salvare madama rossoblu dalle paure della retrocessione.

Paure che si tramutano presto in realtà: alla fine del girone di andata sono solo 10 i punti in classifica per il Cagliari, distante 5 lunghezze dalla quota salvezza. E’ l’era dei due punti a vittoria. Serve un miracolo per confermare la Serie A e i primi segnali di un’inversione di rotta si registrano il 27 gennaio 1991 a San Siro. Cappioli, a tre minuti dal triplice fischio, firma l’1-1 con il quale i rossoblu frenano le ambizioni scudetto dell’Inter. Un risultato che dà fiducia all’ambiente ma non risolve ancora i problemi di classifica. Nonostante i tonfi di Cesena e Firenze, il Cagliari mette la freccia e punta deciso verso una salvezza che sembrava una chimera. Vitali sono i successi al Sant’Elia con il Pisa (decisivo Fonseca) e con il Parma (vittoria all’ultimo respiro con Herrera). La diretta concorrente dei rossoblu, il Lecce di Zbigniew Boniek, accusa una preoccupante flessione. La resa dei conti è datata 14 aprile 1991: Cagliari-Lecce è match da ultima spiaggia per i rossoblu. Serve a tutti i costi un risultato positivo. Il Lecce è avanti di un solo punto in classifica ma la differenza tra le due compagini è netta: il duo Herrera-Francescoli spinge i cagliaritani verso il successo: è sorpasso. La matematica certezza del miracolo sportivo arriva alla penultima giornata quando il Cagliari sbanca il Dall’Ara di un Bologna già retrocesso mentre il Lecce assiste impotente, a Marassi, alla festa scudetto sampdoriana. Un’impresa, quella di Claudio Ranieri, giunta addirittura con una giornata di anticipo. Spirito di sacrificio, abnegazione, chimica di gruppo, carattere e mettersi a completa disposizione di squadra e allenatore per centrare il traguardo: caratteristiche di un Cagliari la cui impresa risuona forte nelle parole e nella ballata di Bryan Adams, “(Everything I do) I do it for you“, singolo nella top 10 dei brani più venduti del 1991.

Parma e Reggina 2006/2007: premio Oscar per gli effetti speciali

Parlare di impresa per Parma e Reggina nella stagione dei miracoli 2006/07 è quasi riduttivo, offensivo. La Reggina è colpita duramente dal terremoto Calciopoli: illecito sportivo per responsabilità diretta del presidente Lillo Foti e 15 punti di penalizzazione. Una mazzata. Una sentenza che sa di retrocessione annunciata. Non se la passa meglio il Parma. Il recente fallimento della Parmalat non fa dormire sonni tranquilli al club, ormai lontano anni luce dai fasti degli anni ’90 e primi duemila e alle prese con una situazione debitoria difficilmente colmabile nel breve periodo.

Un’impresa da pellicola cinematografica. Premio Oscar per gli effetti speciali per i due artefici, i due Spielberg di campo: Claudio Ranieri a Parma e Walter Mazzarri a Reggio Calabria.

Reggina da impazzire

La storia della Reggina nel campionato post-Calciopoli è una continua e ripida scalata. Guidata in panchina da un livornese purosangue, Walter Mazzarri, il sodalizio amaranto perde in estate tre pilastri. Carlos Humberto Paredes, saluta Reggio ed emigra in Portogallo allo Sporting Lisbona; lascia anche il capitano Ciccio” Cozza direzione Siena così come Gaetano De Rosa che si accasa al Genoa. Arrivano Amerini, Aronica e Foggia in una squadra che può contare su Alessandro Lucarelli, Nicola Amoruso, Rolando Bianchi, Giandomenico Mesto e León. La prima svolta della stagione si concretizza a dicembre, fuori dal campo: la Corte Federale riduce la penalizzazione dei granata calabresi da 15 a 11 punti. Al giro di boa i punti sul campo della Reggina sono 23, ridotti a 12 con la penalizzazione.

Le premesse per un miracolo sono lontanissime ma l’avvio del girone di ritorno muta completamente considerazioni e scenari: in seguito al pari casalingo a reti bianche con il Palermo, arrivano tre vittorie in tre scontri diretti per la salvezza contro Cagliari, Messina (nel sentito derby dello Stretto) e Torino. Reggio Calabria ci crede e ne ha ben donde: il roboante successo a domicilio sul Catania per 4-1 seguito dal 3-2 di Ascoli lanciano i granata, trascinati da un Nicola Amoruso in grande spolvero. Il capolavoro è a un passo: negli ultimi 90′ del campionato arriva al Granillo un Milan fresco campione d’Europa ma che non ha più niente da chiedere al suo campionato. I 20mila presenti spingono i granata verso la gloria e gloria sarà: Nick Amoruso firma la 17esima perla della sua stagione nel primo tempo e Daniele Amerini (al suo primo, e finora unico, gol in Serie A) mette la firma sul match. E’ il delirio più totale. La squadra indossa la maglia celebrativa “-11…dA non credere” alla quale se ne affianca un’altra, datata 27 maggio 2007, circondata da uno scudetto tricolore. Più di un trionfo, più di una coppa: un segno del destino. Un successo raccontato dal celebre brano dei Coldplay, “Speed of Sound“, anno di grazia 2006: “Un segno che non si poteva leggere o una luce che non si poteva vedere. Qualcosa in cui tu devi credere“.

Parma 2007 nel segno di Claudio Ranieri

Luca Bucci, Giuseppe Cardone, Fernando Couto e Domenico Morfeo: l’esperienza dei quattro moschettieri crociati a servizio di un club che già ha rischiato la retrocessione 14 mesi prima. Arrivò poi, dopo mille mila sofferenze, la salvezza in uno spareggio dal sapore thrilling con i cugini bolognesi. Il Parma di metà anni 2000 è lontano parente del club gialloblu dominatore in Europa. Stefano Pioli in panchina, reduce da due ottime annate tra Salerno e Modena in Serie B, è allenatore valido ma non ancora pronto per i palcoscenici da smoking e sigaro della Serie A. Il girone d’andata del Parma è disastroso: 2 vittorie (al Tardini con Ascoli e Atalanta), 6 pareggi e ben 11 scivoloni. L’incubo retrocessione è ormai realtà minacciosa che sembra avvicinarsi con sempre più insistenza. Gennaio è però mese delicato: win or die. L’attacco crociato regge sul croato Igor Budan ma non basta. La luce della speranza arriva dall’Inghilterra: dal Manchester United, via Newcastle United, sbarca Giuseppe Rossi che in Premier League ha collezionato sole 11 presenze in quel di St. James’ Park.

Ma non è l’unica novità del 2007 in casa Parma: l’imprenditore Tommaso Ghirardi acquista le quote di maggioranza del club diventandone proprietario e raccoglie l’eredità della presidenza commissariata di Enrico Bondi. In panchina non bastano a Pioli i tentativi di riscossa: al suo posto la nuova proprietà ingaggia “l’aggiustatoreClaudio Ranieri. La conferenza stampa di presentazione del tecnico romano è un grido di battaglia: “Non farò feriti. Farò solo morti“. L’unico decesso certificato è però quello dei gialloblu che soccombono all’Olimpico di Roma con i giallorossi e in casa con la Sampdoria. Udine e lo stadio Friuli rappresentano l’ultima spiaggia. Il pareggio finale per 3-3 muove di poco la classifica ma è un toccasana psicologico dagli incalcolabili benefici. I pareggi raggiunti in extremis con Reggina in casa e Atalanta a Bergamo pesano tanto nell’economia del campionato, così come il successo casalingo con il Siena alla 29esima giornata. Nelle successive cinque giornate arrivano 13 punti. Pesanti, pesantissimi. Come i gol di Giuseppe Rossi che, in un Tardini in visibilio, punisce Livorno e Fiorentina. Il miracolo di Sir Claudio arriva all’ultima giornata: 3-1 all’Empoli al Tardini, 42 punti finali e salvezza raggiunta in seguito a una rimonta epica. Parafrasando Luciano Ligabue, “Niente paura, niente paura. Niente paura, ci pensa Ranieri, mi han detto così“.

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Pubblicato da Alessandro Fracassi

Nato in quel di Sassari nel 1992, cresciuto nel segno della leadership, del temperamento e della passione per i tackle del Guv'nor Paul Ince. Aspirante giornalista sportivo, studio giornalismo all'Università "La Sapienza" di Roma. Calcio e Basket le linee guida dell'amore incondizionato verso lo sport, ossessionato dagli amarcord, dal vintage e dai Guerin Sportivo d'annata, vivo anche di musica rock e dei film di Cronenberg. Citazione preferita: "en mi barrio aprendí a no perder".