Un filo che mi porta dritto a te: lo scudetto della Sampdoria 30 anni dopo

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Il prossimo 19 maggio cade il trentennale dell’ultima grande impresa del calcio italiano: lo scudetto della Sampdoria. È il 1991 e la Serie A, con l’Inter dei tedeschi, il Milan degli olandesi e il Napoli di Maradona rappresenta l’eden pallonaro mondiale. L’Occhio Sportivo riavvolge il nastro dei ricordi e vi riporta a quella storica giornata per la Genova blucerchiata, raccontata attraverso gli occhi di un giovane tifoso che riporta idealmente in vita, oltre al padre defunto, le impareggiabili emozioni di una primaverile giornata genovese a tinte tricolori.

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Apro gli occhi e un timido sole di maggio saluta l’alba di un un giorno. Anzi, il giorno. Svegliandomi, mi sembra di vivere in una dimensione parallela. Come se mi trovassi catapultato in un universo a parte, una sorta di altra realtà inimmaginabile neanche nei sogni più nitidi. Il profumo della panetteria, qui in via Buranello a Sampierdarena, inebria la mia stanza. Quasi mi stringe in un abbraccio. Penso sia Papà. Penso voglia dirmi qualcosa come: “io ci sono, oggi più che mai. Non puoi vedermi ma sono accanto a te, pronto anch’io a lasciarmi andare all’estasi più sfrenata”.

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Se n’è andato qualche giorno dopo un’indimenticabile nottata, quella di Goteborg, il 9 maggio 1990. Quando la bambina, la nostra bambina, è diventata una signora. Lui vive nelle lacrime di quella sera, in quell’ultimo immenso abbraccio che ci scambiammo. La capocciata di Vialli, la certezza del trionfo, la Coppa delle Coppe. Poi il mondo è crollato. E mi ritrovo qui, un anno dopo, con le lacrime che si spezzano inesorabilmente in due: l’indescrivibile gaudio per il nostro primo scudetto da un lato e la sua inaccettabile assenza dall’altro. Mi ha insegnato tutto della vita, mi ha trasmesso l’amore per il blucerchiato ma c’è una cosa che non mi ha mai detto: come posso andare avanti senza il suo sorriso. Senza la sua guida.

Countdown scudetto

Oggi è il 19 maggio 1991. Sono le 5:30 del mattino, guardo il soffitto e ti penso. Tra un ricordo e una lacrima, più di una, ho dormito pochissimo. Anche Genova si è svegliata presto. Dalla finestra della mia stanza ammiro Sampierdarena: è blucerchiata, ovunque. “Eravamo specialisti in sofferenze“, disse Paolo Mantovani a inizio stagione. “Ora cerchiamo di specializzarci in gioie“. La gioia più grande, caro Papà, la nostra Sampdoria ce la sta per regalare.

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Trascorrono le ore. Sono ormai le 9 e come ogni domenica mattina, dal 1982 fino a oggi, prendo tra le mani il vinile dei Flock of Seagulls. Ha ancora il tuo profumo. “Space age love song” la tua canzone preferita. “I saw your eyes. And you made me cry. And for a little while I was falling in love“. Dicevi che descriveva fedelmente il tuo stato d’animo quando vedevi giocare il Mancio: tra l’estasi di una giocata e le bizze extra campo, il confine era sempre sottile.

“Vinto, visto, vissuto”

È arrivato poi il pomeriggio e ti ho pensato ogni istante. Sei stato negli abbracci dati ad amici e sconosciuti. Nelle esultanze ai nostri tre gol. È arrivato lo scudetto. Il nostro sogno si è realizzato. È arrivato anche il bagno nella fontana di Piazza de Ferrari come ti avevo promesso. Sorrido, mi lascio andare all’estasi. Ma non ci sei.

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Genova è impazzita, Papà. La nostra città è un sorriso contagioso. È un’estasi che si dirama in ogni via, ogni viale, ogni angolo più remoto, da Boccadasse fino a Voltri.

“Un filo che mi porta dritto a te”

Oggi è il 19 maggio 1991. E sono qui, davanti a te. Cerco di descriverti minuziosamente le perle di Toninho, Moreno e Gianluca, le battute di Vujadin, la sfrontatezza di Pagliuca. Ti accarezzo anche se ora sei marmo. Ti guardo anche se ora non sei più corpo ma vivi nei miei respiri. Potessi vederlo il cimitero di Staglieno, caro Papà: è un oceano blucerchiato. La bandiera della Sampdoria è ovunque. Perché la Sampdoria è amore. La Sampdoria è vita.

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Oggi, 19 maggio 1991, sono riuscito a tornare a Marassi dopo un anno. L’ultima volta c’eri tu, in gradinata sud. Mi è sembrato di rinascere. Ho ritrovato me stesso. Perché ci lega un filo. Un filo che mi porta dritto a lei. Un filo che mi porta dritto a te.

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Pubblicato da Alessandro Fracassi

Nato in quel di Sassari nel 1992, cresciuto nel segno della leadership, del temperamento e della passione per i tackle del Guv'nor Paul Ince. Aspirante giornalista sportivo, studio giornalismo all'Università "La Sapienza" di Roma. Calcio e Basket le linee guida dell'amore incondizionato verso lo sport, ossessionato dagli amarcord, dal vintage e dai Guerin Sportivo d'annata, vivo anche di musica rock e dei film di Cronenberg. Citazione preferita: "en mi barrio aprendí a no perder".