Calcio, politica e repressione: Helmuth Duckadam, saracinesca anti-regime

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Siviglia, stadio Ramón Sánchez-Pizjuán, 7 maggio 1986. Il calcio europeo saluta, con stupore, una prima volta assoluta per un club del blocco orientale: la Steaua Bucarest sconfigge il più quotato Barcellona e si laurea campione d’Europa. Protagonista indiscusso del match è l’estremo difensore Helmuth Duckadam il cui talento viene messo in discussione dalle ombre e dai misteri che avvolgono l’operato del regime comunista di Nicolae Ceaușescu.

Il contesto storico: la Romania del regime comunista

La Romania degli anni ’80 vive l’era più complicata della sua ultracentenaria storia. Nella terra delle alture carpatiche bagnate dal Danubio, crocevia di genti talvolta eccentriche e culture di variegata tipologia – come egregiamente descritto da Alfonso Esposito nel libro intitolato “Alla riscoperta dell’Est. Il calcio oltre la cortina di ferro” – è il socialcomunismo del Conducător Nicolae Ceaușescu a dominare la scena politica e sociale nazionale. Libertà negate e diritti calpestati in nome di un regime spietato e oppressivo per il quale il margine d’errore in ogni campo è ridotto ai minimi termini. In un clima di terroretimore è ancora una volta lo sport, più segnatamente il calcio, a regalare attimi di gloria nazionale.
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La squadra dell’esercito, la Steaua Bucarest, si laurea campione d’Europa nel 1986, undici giorni dopo il disastro nucleare di Chernobyl che va a sommarsi a una condizione di povertà diffusa nel Paese, a un’evidente carenza di gas ed elettricità che rendono la Romania poco appetibile per i mercati globali. In un panorama tanto oscuro, dominato da un’affannosa politica di industrializzazione nazionale, il trionfo Steaua – e la gloria che ne consegue – è targato Helmuth Duckadam, portiere della squadra della Capitale. Protagonista nella notte delle notti per la Steaua, saranno – paradossalmente – le sue storiche parate e la sua notorietà a mettere una pietra tombale a una carriera sportiva divenuta ormai scomoda per i vertici politici nazionali.

Sevilla ’86: la Romania chiude le frontiere

È possibile trionfare in Coppa dei Campioni soli con sé stessi, contro una squadra – sulla carta – superiore e uno stadio intero? Il calcio mai è stato e mai sarà una scienza esatta: sfugge, costantemente, ad ogni logica. Teatro dell’imponderabile è lo stadio Ramón Sánchez-Pizjuán di Siviglia: è la sera del 7 maggio 1986 e l’impianto sevilliano assume le sembianze di un catino infernale, una “Bombonera de Nervión“, dal nome del quartiere cittadino in cui l’impianto sorse nel 1958. La finalissima tra il Barcellona (che di fatto gioca in casa) e i campioni di Romania della Steaua Bucarest è l’evento più atteso dell’anno: l’Andalusia viene presa d’assalto da oltre 60mila catalani che sognano, a occhi aperti, la prima volta blaugrana nell’Europa dei grandi.

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Rivoluzione rumena del 1989 in corso (fonte: Corriere della Sera)

Anche in Romania lentusiasmo per le imprese della Steaua raggiunge vette fino a quel momento inesplorate ma la freddezza calcolatrice di Ceausescu spegne, sul nascere, ogni ardore. Temendo un esodo di massa verso la Spagna dalle conseguenze deleterie per il regime, il Conducător chiude le frontiere e concede solo a pochi eletti (funzionari del regime e vertici della Securitate, la polizia segreta della Repubblica socialista rumena) l’occasione di presenziare all’appuntamento con la storia.

Undici metri: unità di misura di gloria o abisso

La finale è un affaire tra il Barcellona di Terry Venables e del terminale offensivo Steve Archibald (giustiziere della Juventus nei quarti di finale) a caccia del suo primo grande acuto continentale e la Steaua Bucarest del tecnico Emerich Jenei (commissario tecnico della nazionale rumena a Italia ’90), composta interamente da giocatori “fatti in casa”: l’asse portante del sodalizio orientale è composto dalla punta Victor Pițurcă, dal mediano László Bölöni, dall’ottimo centrale difensivo Miodrag Belodedici e dall’estremo difensore Helmuth Duckadam: concentrato di capelli ricci, baffi e talento sconfinato. Lo stesso che mantiene in vita la Steaua nella finale di Siviglia. Il monologo blaugrana si infrange ripetutamente dinanzi alla buona organizzazione difensiva e all’atteggiamento attendista dei campioni rumeni.

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Una parata di Duckadam durante Steaua-Barcellona del 1986 (fonte: Goal.com)

I 90′ regolamentari e i tempi supplementari non bastano a decretare il vincitore. Si va ai rigori. La tensione è palpabile e gli undici metri diventano una guerra di nervi e l’equilibrio regna sovrano: Mihail Majearu sbaglia il primo rigore rumeno, imitato poco dopo da Alexanco. Ma inizia proprio in quell’istante la serata magica per Duckadam: Bölöni non sblocca la situazione e Duckadam, in totale trance agonistica, neutralizza anche Ángel Pedraza. Il secondo errore del Barcellona galvanizza i campioni rumeni che interrompono l’emorragia degli errori dal dischetto con il sigillo di Marius Lăcătuș (dopo il mondiale del 1990 approderà in Italia, alla Fiorentina, per 3 miliardi di lire) e quello, pesantissimo, di Gavril Balint.

Stairway to heaven

Duckadam sente il profumo dell’impresa e l’istinto non lo abbandona nel momento decisivo, come raccontato da Zona Cesarini: “Al terzo rigore, immaginai che Pichi Alonso avrebbe pensato che non mi sarei buttato ancora una volta sulla mia destra. Scommisi quindi che avrebbe tirato alla mia destra e così fece. Il quarto rigore fu il più difficile. Non ero sicuro se tuffarmi ancora a destra o andare a sinistra. Calcolai che Marcos avrebbe tirato alla mia sinistra e ancora una volta scelsi in maniera corretta.” 

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La Steaua campione d’Europa ricevuta a Bucarest dai vertici del regime l’8 maggio 1986 (fonte: ProSport.ro)

È il tripudio. La Steaua Bucarest è campione d’Europa 1986. La storia del calcio europeo si arricchisce di un nuovo, inedito, capitolo: è il primo grande trionfo di una squadra del blocco orientale anche se l’unicum però è un altro. Mai è capitato infatti, in una finale di Coppa Campioni, che un portiere neutralizzasse tutti i penalties della squadra avversaria. Il protagonista del match è proprio lui, Duckadam, che viene eletto a eroe nazionale dalla stampa continentale, entrando nell’immaginario collettivo con l’appellativo di “Eroul di Siviglia“. Ventiquattro ore dopo il trionfo, il portiere e la squadra rientrano a Bucarest e vengono accolti trionfalmente da migliaia di tifosi della Steaua in estasi.

Mistero

Poche ore dopo il bagno di folla nelle strade della Capitale, i neocampioni d’Europa vengono ricevuti da Nicolae Ceaușescu alla Casa Poporului (la Casa del Popolo, attuale sede del parlamento rumeno). Le foto di rito immortalano un Duckadam sorridente, insieme al Conducător e alla squadra, e in posa con la Coppa Campioni. La popolarità dell’Eroul Helmuth è ai massimi storici ma nel giro di pochi mesi si perdono completamente le tracce del protagonista rumeno in terra iberica. Nessuno in Romania conosce, almeno inizialmente, i motivi di un silenzio così assordante: o meglio, probabilmente sono in molti a sapere cosa sia accaduto ma nessuno può esporsi, come un regime insegna e impone.

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Duckadam bacia la coppa dalle grandi orecchie (fonte: alessandrogirola.me)

Helmuth riappare mesi dopo, il 14 dicembre 1986, per la finale di Coppa Intercontinentale di Tokyo che vede opposte River Plate e Steaua Bucarest. Il portiere-saracinesca non scende però in campo, sostituito per l’occasione dal suo vice Dumitru Stângaciu. I Millonarios mettono alle corde lo Steaua, portandosi a casa risultato (1-0 il finale, con rete decisiva di Antonio Alzamendi al 28′ del primo tempo, ndr) e coppa. Copione che muta sensibilmente, ma che si infittisce di mistero, agli albori del 1987: Duckadam non è neanche in panchina nella vittoriosa finale della Supercoppa Europea (1-0 Steaua al Louis II di Montecarlo sulla Dinamo Kiev con rete della giovane promessa Gheorghe Hagi, ndr). Il dubbio è universale, la preoccupazione tangibile: che fine ha fatto l’eroe di Siviglia?

Quando le informazioni mancano, le voci crescono

Il silenzio sulla vicenda Duckadam dura un anno fino a quando iniziano a circolare voci, più o meno confermate, su quanto realmente è accaduto nei mesi precedenti. Giugno 1987: Alex Ferguson vuole ingaggiare l’estremo difensore rumeno, strappandolo a una nutrita concorrenza sul mercato. Il Manchester United, reduce da un’annata fallimentare, deve sostituire il portiere titolare, Gary Bailey, vittima di un grave infortunio al ginocchio ai mondiali di Messico ’86. Un possibile futuro a Old Trafford salta per una notizia che circola con insistenza a Bucarest e dintorni: secondo le versioni ufficiali, Duckadam venne ricoverato d’urgenza (qualche settimana dopo la finale di Siviglia) in un ospedale di Bucarest a causa di una trombosi alle mani per la quale il portiere rischiò, a più riprese, l’amputazione del braccio destro. Una versione dei fatti confermata qualche mese dopo dallo stesso Duckadam e confermata in un’intervista del 2007, come riportato dal sito specializzato “Goal.com” : “Il brusco stop – spiegò a ‘La7’ – è stato causato da un grumo di sangue che si è spostato sul mio braccio destro. E sono stato pure fortunato, potevano amputarmelo“.

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“Superman” Duckadam (fonte: calciovecchio.blogspot.com)

La stampa internazionale storce il naso e già nell’estate del 1987 non dà credito alle dichiarazioni di Duckadam che altro non sono se non uno scudo attraverso il quale il portiere vuole tenere al riparo la sua famiglia da spiacevoli sorprese. Ma al riparo esattamente da che cosa? A questo proposito sono varie le ipotesi sulle quali si è dibattuto all’epoca, tutte chirurgicamente insabbiate dalla stampa di regime: la più inquietante riguarda Nicu Ceausescu, figlio naturale del dittatore. Un uomosinistro” dedito all’alcol, oltre che uomo violento come confermato dalla ginnasta ed ex compagna Nadia Comăneci, vittima di abusi e violenze variegate. Nicu non è un grande appassionato di calcio ma strumentalizza la Steaua e le partite della Divizia A, il campionato rumeno, per soddisfare un’assetata brama di gioco. Duckadam, uomo di valori e spiccata personalità, rifiuta più volte il coinvolgimento nella combine arrivando anche a un acceso scontro verbale con Nicu. Un atto di insubordinazione che gli costerà carissimo.

Clamorose rivelazioni

Secondo le versioni dell’epoca, Ceaușescu junior avrebbe ingaggiato membri della Securitate per spezzare a bastonate le mani d’oro del portiere di Semlac. Una ritorsione quasi ossessiva, quella del regime nei confronti dell’icona Duckadam, nata dall’imponente popolarità del portiere e materializzatasi – secondo una tesi mai confermata – in una Mercedes regalatagli da Re Juan Carlos (o dai vertici societari del Real Madrid?) per ringraziarlo di aver sconfitto i rivali del Barcellona.

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Re Juan Carlos e Nicolae Ceaușescu si stringono la mano in un vertice del 1979 (fonte: Wikipedia.it)

Quella stessa auto pretesa dall’altro figlio di Ceaușescu, Valentin, ma mai ottenuta per categorico rifiuto del coraggioso Duckadam. Una disobbedienza che si tramuta in spedizioni punitive di alcuni membri della Securitate che lo torturano a più riprese tra il maggio e il novembre del 1986 (si vocifera anche di una fucilata – sventata per miracolo dallo stesso Duckadam – durante una battuta di caccia).

Dalle percosse all’immortalità

Gli anni di inattività del portiere sono tra i più complicati della storia rumena e coincidono con un clima di evidente e deciso malcontento della popolazione nei confronti del regime. Il quadro sociale, economico e politico della Romania di fine anni Ottanta è a dir poco desolante: viene introdotto il razionamento del cibo su larga scala – promosso dal governo come “metodo per ridurre l’obesità” – per poter ripagare i prestiti stranieri investiti, con discutibile criterio, nell’industria pesante. Il 1989 è però l’anno della svolta: Helmuth, pur avendo perso lo smalto dei tempi d’oro, torna in campo con il Vagonul Arad e con due rigori parati, regala ai suoi una vittoria in Coppa di Romania.

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Duckadam replica il “bacio alla coppa” (fonte: Goal.com)

Non contento, si prenderà qualche mese più tardi la sua personale rivincita contro il regime che lo ha debilitato e perseguitato: il 16 dicembre presenzia alle rivolte popolari di Timisoara con tanto di fucile per dire basta alle repressioni del regime. Cinque giorni dopo Helmuth è tra le 100mila persone che assistono all’ultimo comizio di Ceaușescu. Sono le 12:30 del 21 dicembre 1989 quando il monologo del dittatore viene interrotto da diversi colpi di arma da fuoco: si scatena il panico. Nel caos generale, la falsa notizia che la Securitate spara ai civili è il pretesto che dà il via alla rivoluzione contro Ceaușescu. È l’inizio della fine per il regime: il Conducător, dopo un processo sommario, verrà catturato e giustiziato insieme alla moglie Elena il 25 dicembre 1989. L’eroe di Siviglia diventa invece immortale e nell’agosto 2010 viene nominato presidente onorario della “sua” amata Steaua.

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Pubblicato da Alessandro Fracassi

Nato in quel di Sassari nel 1992, cresciuto nel segno della leadership, del temperamento e della passione per i tackle del Guv'nor Paul Ince. Aspirante giornalista sportivo, studio giornalismo all'Università "La Sapienza" di Roma. Calcio e Basket le linee guida dell'amore incondizionato verso lo sport, ossessionato dagli amarcord, dal vintage e dai Guerin Sportivo d'annata, vivo anche di musica rock e dei film di Cronenberg. Citazione preferita: "en mi barrio aprendí a no perder".